48 anni fa l’assassinio del commissario Calabresi


Pubblicato il 17 Maggio 2020

Quella mattina prima di morire ritornò a casa dopo essere uscito per cambiare la cravatta rosa con una bianca  perché  così disse alla moglie, “si adatta meglio alla mia purezza” .
Quarantotto anni fa Luigi Calabresi, prima di essere ucciso dai killer che lo aspettavano sotto casa, fu seppellito dalla campagna di odio feroce che si scagliò contro di lui dopo la vicenda della morte di Pinelli in questura a Milano. Non possiamo, quindi, dimenticare gli anni torbidi e bui che visse quel paese nel 1972 sopraffatto dagli estremismi ideologici che sfregiarono e insanguinarono la vita civile. Un paese mortificato da trame occulte e fragilità sociali, in cui si visse un clima d’odio che faceva paura e che rischiava di esplodere in qualsiasi momento.
Si uccideva per la strada in agguati spaventosi, chi era di fazioni opposte e si cominciarono a mettere delle bombe anche ispirate e coperte da personaggi degli apparati dello Stato. Si pagò il prezzo di una Nazione che era passata da un regime fascista ad una democrazia senza una reale rinnovamento della vita pubblica. Così tra la fine degli anni ’60 si presentarino anni terribili in cui il settarismo ideologico era la figlia di fico per consumare crimini inaudito e insensati. Ma si arrivava all’acme di una società che non conosceva il liberalismo che radica la democrazia.
Bisogna ricordare che l’anno dopo l’omicidio di Luigi Calabresi si tentò anche di uccidere Mariano Rumor con una bomba in cui morirono degli innocenti. Si visse a lungo in un paese in bilico a rischio  e in cui si consumava a volte un esplicito, a volte un sotterraneo tentativo di frenare le riforme parlamentari e l’evoluzione della vita democratica. Forse la classe dirigente fu più lungimirante in tante cose, nonostante i pesanti condizionamenti che vi erono in settori deviati dello Stato Però come è accaduto nella nostra storia non si seppe difendere Luigi Calabresi, che fu lasciato solo e anche additato come “colpevole” da un famoso documento di intellettuali e che era stato condannato a morte dalla campagna di odio orchestrata da Lotta Continua che lo definì: «Torturatore di alcuni compagni, assassino di Giuseppe Pinelli, complice degli autori della strage di Milano». Persino dopo firmo l’assassinio con una frase orrenda in si affermava che non si poteva  «deplorare l’uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia».
Alla fine  Gemma la moglie di Calabresi e Licia la moglie di Pinelli si sono incontrate facendo emergere l’unica grande verità che sono state loro due le vittime di un dolore atroce, mentre gli altri  giocavano a fare la rivoluzione o a organizzare la reazione. I nemici stavano sempre dall’altra parte, pronti per divenire un bersaglio da eliminare.
Una società in cui i valori liberali e democratici non venivano rispettati. Un solo banale e luminoso insegnamento possiamo ricevere dal passato, che adesso nella realtà odierna più ne abbiamo ancora bisogno, che i valori del rispetto, del dialogo, del confronto, della ragione e della libertà prevalgano sempre  sull’odio, sulla intolleranza e sulla prepotenza.
Rosario Sorace.

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