Catania: il conformismo dell’antimafia militante. Parla Valter Rizzo: “Non faccio parte della “chiesa” di Orioles, che male c’è?”


Pubblicato il 22 Giugno 2012

di Mirko Tomasino, iena vulcanica

A cuore aperto e fuori dai denti. Potrebbe essere così definita l’intervista che il giornalista catanese Valter Rizzo ha deciso di concedere in esclusiva al nostro giornale, in netta risposta alle affermazioni del giornalista ed ex numero due de “I Siciliani” Riccardo Orioles in una precedente intervista curata da chi scrive. Nell’intervista che vi proponiamo, Rizzo, ripercorre momenti molto interessanti della vita giudiziaria, amministrativa e sociale catanese degli ultimi vent’anni, sostenendo i colleghi che si battono ogni giorno contro il cancro mafioso e la pessima amministrazione pubblica. Nessun atto di presunzione verso coloro che sono più o meno “titolati” per la lotta al malaffare o alla criminalità, ma solo l’esposizione di fatti argomentati da vicende testimoniate ed aneddoti interessanti che tendono a delineare il proprio punto di vista della situazione.

Valter Rizzo, hai lavorato per anni a Catania, adesso lavori a Roma a Rai Tre, prima con Santoro ad Annozero. Hai avuto il premio Ilaria Alpi, il premio Mario Francese e il Premio Cronista per il tuo lavoro in Sicilia e a Catania. Lasciare questa città non è stata una scelta. Sei stato costretto ad andartene dopo il licenziamento da Telecolor. Perché sei stato licenziato?

Sono stato licenziato insieme a altri cinque colleghi nell’estate del 2006. Ciancio qualche anno prima aveva acquistato Telecolor, con l’obiettivo di togliersi una spina dal fianco. Quella Redazione era fatta in larga misura da giornalisti liberi, nessuno dei quali era cresciuto alla scuola de La Sicilia; eravamo viddani, venivamo quasi tutti dalla provincia e nessuno aveva parentele nella Catania che conta. Faceva un’informazione che non guardava in faccia nessuno, neppure i Rendo che pure erano i padroni dell’emittente. Più volte abbiamo creato seri problemi al “sistema” della disinformazione catanese. Faccio un esempio. Quando La Sicilia tentò una clamorosa operazione di screditamento del collaboratore Maurizio Avola, che tra le altre cose stava facendo fondamentali rivelazioni sull’assassinio di Giuseppe Fava, ebbene quell’operazione venne smontata proprio da Telecolor e da l’Unità. Questo è solo un piccolo esempio. Il telegiornale di Telecolor era il più visto e il più autorevole e le notizie le davamo per com’erano. Non facevamo un’informazione militante, solo un’informazione normale. A Catania questo era, ed è, intollerabile. Il licenziamento venne ammantato da motivazioni economiche, ma erano fasulle. La sera prima che saltasse il tavolo, la Redazione, davanti all’allora Prefetto Cancellieri, aveva accetto un piano di sacrifici per 350 mila euro all’anno. Il mattino dopo i Ciancio gettarono la maschera: volevano che accettassimo una redazione parallela, fuori dal controllo del nostro direttore Nino Milazzo che ci aveva sempre garantito la massima autonomia anche dopo l’arrivo di Ciancio. Insomma noi dovevamo stare in panchina, ovviamente dei casi “sensibili” si sarebbe occupata l’agenzia Asi, diretta dalla figlia di Ciancio. Abbiamo semplicemente detto no. Potevamo chinare la schiena, accettare il silenzio e avremo mantenuto stipendio e sicurezza. Ma ci sono cose che non si possono accettare se si sceglie di fare questa professione. Alcuni hanno accettato di sottostare al ricatto e sono ancora lì genuflessi. Gli altri, siamo andati incontro al nostro destino.

La cosa peggiore non è stato il licenziamento, ma l’assoluto isolamento nel quale abbiamo condotto la nostra guerra. Tanta solidarietà di facciata, molti silenzi, anche da parte di quella che pretende di esser la Catania migliore. Poi su di noi si è rapidamente chiusa l’acqua.

“Caso Catania”. Nella mia ultima intervista Orioles bacchetta Condorelli. Dove sbaglia, secondo te, l’ex numero due de “I Siciliani”?

Sbaglia su tutto. E non credo che lo faccia casualmente. Da sempre c’è un fastidio, per non dire altro, verso chi a Catania fa questo mestiere – uso un’espressione che non amo – con la schiena dritta, ma non appartiene alla chiesa della cosiddetta antimafia militante e al suo conformismo. Un astio che nasce dall’assunto che tolti i membri della “Chiesa” di Orioles, a Catania tutti i giornalisti sono servi. Un vizio antico che ha fatto molto male a questa città. Lo dico senza alcun problema e non ho alcun timore ad essere scomodo: a Catania vi sono problemi gravissimi di mafia e di malaffare, di malapolitica e di mala informazione, ma vi è anche il grande problema di alcuni “professionisti dell’antimafia”, alcuni dei quali – sia chiaro non mi riferisco ad Orioles – sono anche dei figuri che hanno riverniciato una storia personale e professionale opaca per non dire altro. Questa sorta di chiesa pretende di dare patenti di onestà e disonestà. E’ assolutamente autoreferenziale e ha fatto più danno che bene creando una sorta di conformismo che ha fatto terra bruciata.

Perchè bacchettare Condorelli?

Condorelli non piace perché non lo puoi inquadrare, non è affidabile, non è conformista. Poi culturalmente è di destra e questo agli occhi dei “gran sacerdoti” è una peccato originale incancellabile. Io sono radicalmente ed ereticamente di sinistra e neppure io sono molto ben visto nelle varie “chiese”, ma sinceramente me ne infischio. Il “sistema” vuole conformisti che ripetano una partitura, gli antimafiosi duri e puri voglio conformisti che ne ripetono un’altra. Infondo il prodotto non cambia. Le teste libere alla fine fanno una fottuta paura a tutti.

Cosa pensi del giornalismo antimafia?

Ci può essere un giornalismo pro-mafia? Sarebbe un ossimoro. Non esiste il giornalismo antimafia. Come non esiste la politica antimafia. Essere contro la mafia è un fatto naturale, direi connaturato con l’essenza stessa di fare il mestiere di giornalista. Il giornalismo vive di verità, per la mafia la verità è come la kriptonite per Superman. Chi fa questo mestiere tradendo la verità o nascondendola, semplicemente non lo fa. Io non sono un giornalista antimafia. Sono un giornalista e basta. Senza aggettivi. Non sono un militante, sono una persona che cerca di fare questo mestiere rispettando le regole e rispettando il mio editore di riferimento che sono e restano sempre i lettori e i telespettatori. Punto. Antonio Condorelli, come altri giovani colleghi, pochi in realtà, segue queste regole. Lo considero non una promessa, ma una realtà del giornalismo catanese e siciliano e meriterebbe di sicuro altri spazi. Credo che abbia realizzato, insieme a Sigfrido Ranucci, la migliore inchiesta su Catania degli ultimi vent’anni. Devo dire che l’ho invidiato molto.

Giambattista Scidà: Da un lato Orioles, Giustolisi e Travaglio dall’altro Condorelli e Rizzo?

Non mischierei Travaglio con il resto della compagnia. Marco è una persona perbene, un grande professionista e tra noi vi è reciproca stima. Credo che purtroppo abbia una conoscenza dei fatti catanesi de relato e le sue fonti in questo caso non siano le migliori.

Scidà è morto è non è mai piacevole parlare di chi non c’è più. Non mi sottraggo però alla domanda e lo faccio proprio per rispetto. In molti in questa città e in questo Paese sono campioni nello sport di essere amici dei morti o nell’arte ipocrita di dirne sempre bene. Io preferisco la scomodità assoluta dell’onestà. Credo che Scidà avrebbe fatto lo stesso.

Su di lui non avevo un grande giudizio mentre era in vita, non l’ho modificato. Era di sicuro una persona onesta; a modo suo era uno che credeva in quello che faceva al punto che ancora oggi ci accapigliamo su di lui. Ha dedicato la vita ad una battaglia purtroppo ristretta e limitata. Il Caso Catania non è restringibile alla figura di un uomo, di un magistrato. E’ ben altro. Questo Scidà non lo ha mai compreso. Era chiuso in una battaglia monotematica che è divenuta alla fine un’ossessione dolorosa. Per il resto Catania non esisteva. Non condivido il giudizio di chi lo definisce un giudice antimafia. Da magistrato, ha sempre e solo fatto il giudice dei minori, non ha mai seguito neppure per caso, un processo di criminalità organizzata. Non aveva alcuna esperienza in materia e la sua azione è stata solo quella di un polemista, a volte acuto, in altre completamente fuori misura. Mi sempre apparso come una persona assolutamente rigida, priva di quell’elasticità mentale che fa la differenza.

Qualcuno lo ha usato in modo strumentale, per ripararsi sotto la sua aurea di rispettabilità. Sono convinto che la surreale querela che ha presentato contro di me e contro i colleghi de La Repubblica sia figlia più di costoro che dello stesso Scidà. Credo che non tutti i personaggi che affollavano la sua corte fossero limpidissimi. Alcuni, dopo aver battuto i peggiori postriboli del sistema di potere catanese, dovevano ricostruirsi una verginità e accompagnarsi al vecchio Titta andava benissimo. Molti altri, come Ada Mollica o Antonio Roccuzzo invece gli hanno voluto bene veramente e Antonio ne ha tracciato un commosso ritratto nel suo ultimo libro. Ognuno ha il suo giudizio che io rispetto, come chiedo venga rispettato il mio.

In un tuo commento alla mia intervista affermi che Scidà ha attaccato, dalle colonne de “La Sicilia” il servizio di Ranucci e Condorelli “I Vicerè” realizzato per Report. Spiegaci meglio questo passaggio

C’è poco da spiegare. Basta leggere il suo intervento, graziosamente ospitato da Mario Ciancio sulle pagine del suo giornale. In quei giorni contro Report si sparava a palle incatenate. Purtroppo a quel coro si è unito, pur con le sue argomentazioni, anche Scidà, commettendo uno dei più gravi errori della sua vita.

Orioles afferma di esser tra i pochi a denunciare la mafia a Catania. Confermi?

Ma mi facci il piacere..mi facci! Come diceva il Principe de Curtis. Sinceramente ne ho piene le scatole delle sue storie sentite e risentite sui Cavalieri, su Dalla Chiesa, su Aleppo … Le conosciamo, fanno parte della Storia. Avessero, lui e i suoi, gli strumenti e anche gli attributi per occuparsi di chi comanda adesso, di chi ha in mano le leve del potere economico- politico-mafioso in questa città, invece di raccontare sempre la solita pippa. Orioles negli ultimi venticinque anni non ha scritto un solo articolo degno di questo nome su questa città. Pensa di poter campare di rendita sugli articoli del Giornale del Sud e de I Siciliani. Si è fermato al 1985. Da allora non ha cavato fuori una notizia, non ha messo in difficoltà nessuno. Ha fatto solo tristi chiacchiere da caminetto e per giunta pretende di fare la morale a chi ogni giorno tenta di fare onestamente e con mille rischi questo mestiere a Catania e in Sicilia. Quello che ha detto su Condorelli, definendolo parte del sistema Catania è vergognoso, lo sarebbe in ogni parte d’Italia, ma in Sicilia e a Catania assume una connotazione criminale. E’ come dire: “si ma anche lui, forse non è così pulito…”. E’ la vecchia arte del “mascariamento”, che isola un collega già esposto. Orioles si è assunto questa responsabilità. Perché lo fa è affar suo, ma è grave

Catania, anche Confindustria si e’ schierata contro la mafia.

Il salto di qualità di Confindustria nel 2007 e’ stato un fatto importante, va riconosciuto e ne va riconosciuto il merito a Fabio Scaccia e a Ivan Lo Bello. Purtroppo quello che e’ accaduto dopo ha reso quella battaglia più un’azione di facciata che una concreta lotta per far pulizia. Scaccia e’ stato cacciato per gli scontri personali con Lo Bello. Uno scontro che nasceva dalla presa di distanza di Scaccia verso Andrea Vecchio, non certo perché ostacolava l’azione antimafia. Ma venne bollato come l’uomo anti legalità. Anche li il conformismo di una chiesa. Ma anche tanta incoerenza, cacciato Scaccia alla guida di Confindustria Catania va, come commissario, niente di meno che Ennio Virlinzi. Come dire l’uomo giusto al posto giusto. Il tutto con la benedizione di Lo Bello. Andrea Vecchio, l’eroe antimafia che in passato andava a cercare gli estortori per pagare il pizzo, come risulta dai suoi stessi verbali di interrogatorio, oggi fa l’assessore in un Governo guidato da un presidente inquisito per concorso esterno in associazione mafiosa. La Confindustria di Catania ha sbattuto fuori l’azienda di Scaccia che non ha neppure una multa per divieto di sosta, ma si e’ tenuta dentro senza il minimo imbarazzo Mario Ciancio, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Questa e’ l’antimafia di carta, l’antimafia delle chiese nella quale possono starci tutti. Basta avere uno sponsor che va in Tv

Salvi, il “giudice straniero” alla Procura di Catania.

Intanto sono felice che Giovanni Salvi sia alla guida della Procura di Catania. E’ stato un atto di coraggio del Csm e devo dire che questa scelta apre una stagione di speranza. Vi è stato il rischio che ciò non avvenisse e che alla guida della Procura ci ritrovassimo Tinebra, il magistrato che ha gestito Scarantino, e ha guidato la Procura di Caltanissetta mentre si consumava il gigantesco depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Un personaggio sul quale ho già scritto in altra sede ciò che penso. Da notare che il pericolo che venisse nominato Tinebra non ha suscitato la minima reazione da parte dei preti dell’antimafia militante. A loro andava bene chiunque non fosse Gennaro.

L’arrivo di Salvi ci porta a grandi attese. Ci sono stati anche passaggi simbolici come l’apertura del Palazzo di Giustizia alla città e agli artisti per ricordare Falcone e gli altri morti di Capaci. Una serata straordinaria che profumava di una nuova primavera catanese.

Non sono convinto che il cambiamento passi per la via giudiziaria. Il cambiamento passa per la politica e la democrazia. La legalità è però una precondizione essenziale. La presenza di un Procuratore esterno in questo momento e’ importantissima. Leva ogni possibile alibi. Adesso occorre che la politica, la gente sappia fare la propria parte. E’ una stagione importante. Molti dei padroni/padrini della città sono afflitti dagli anni, altri sono stretti dai guai giudiziari. Ci sono le condizioni per dare una spallata al sistema che mostra tutte le sue debolezze, ma che paradossalmente viene sorretto dall’abitudine al servaggio, dalla mancanza di speranza in un cambiamento che invece è reale. Occorre che ognuno faccia la sua parte. Catania è molto meglio di come viene rappresentata dalla sua classe dirigente. La gente perbene, che è maggioranza, deve trovare la forza e il coraggio di metterci la faccia, di non delegare. Salvi è un’occasione per la città, ma non basta. Non può cambiarla lui Catania. Non è il suo ruolo.

Perchè il sostituto Gennaro ha ricevuto tanti attacchi negli ultimi vent’anni? credi li abbia meritati?

Su Gennaro non ho molto da dire. Non è un magistrato che conosco benissimo. E’ stato molto tempo lontano. Per quel che lo conosco ha un carattere spigoloso. Credo che su alcune faccende private abbia agito con grave leggerezza. Alcuni peccati, che per un normale cittadino sono veniali, per un magistrato sono assai più pesanti. Ho detto in tempi non sospetti che con la canea che si era scatenata su di lui non poteva in alcun modo guidare la Procura. La sua nomina sarebbe stata disastrosa in primo luogo per lui. Questo al di la del merito delle accuse che gli sono state rivolte. Detto ciò personalmente non credo che abbia mai avuto, non dico collusioni, ma neppure sfioramenti con la mafia. Non esiste un suo atto che mostri una sua morbidezza riguardo alla mafia. Non un processo aggiustato, non un trattamento di riguardo verso questo o quel mafioso. Niente di niente. Insomma chi lo accusa dovrebbe dire: ha favorito i clan in questo modo o in quest’altro.

Credo che le ragioni degli attacchi siano ben altre. Gennaro ha avuto il coraggio di mettere sotto processo uomini che prima a palazzo di Giustizia neppure si nominavano. Verso i quali vigeva la regola del silenzioso ossequio e del bacio della pantofola. Mandare alla sbarra Virlinzi o Lombardo non è da tutti. Mi ha colpito che contro Gennaro si siano scatenati, parallelamente, gli uomini del sistema e gli uomini della cosiddetta antimafia militante. Singolarità tutte catanesi.

Ma c’è la famosa foto che lo ritrae in compagnia di Rizzo, il prestanome dei Laudani.

Questa è una vicenda interessantissima. E’ certo che la famosa foto che lo ritrae in compagnia di Rizzo, che all’epoca era assolutamente sconosciuto alla giustizia, sia stata scattata ad una cresima della figlia del vicino di casa di Gennaro, alla quale era anche invitato anche Rizzo. E’ altrettanto certo che sia stata scattata un familiare di quest’ultimo, rimanendo nei cassetti di famiglia per 20 anni. E qui finiscono le certezze. Siccome sono uno che fa domande, mi chiedo: perché un familiare di un mafioso scattava di nascosto quella foto? Forse per avere un’arma di ricatto contro un magistrato pericoloso? E ancora, chi ha passato, vent’anni dopo, quella foto – proprio mentre Gennaro indagava Lombardo e Virlinzi – al signor Pino Finocchiaro? Se quella foto era verosimilmente in mani mafiose con quali fonti hanno trattato questi signori? Che rapporti hanno? Servono quali interessi? Le domande le ho fatte da tempo, le risposte le sto ancora aspettando.

Che ne pensi complessivamente della situazione del Palazzo di Giustizia di Catania?

In Procura c’è un’aria nuova come ho già detto. Ma non basta. Mi permetto di dire che se dobbiamo parlare del Palazzo di Giustizia di Catania forse sarebbe il caso di parlare anche della giudicante, della quale non parla nessuno. Le migliori inchieste fatte dai migliori magistrati inquirenti finiscono sempre in un aula per il giudizio e lì si decide, è lì che si fanno veramente i giochi. Un attento monitoraggio delle sentenze che riguardano ad esempio i cosiddetti reati dei colletti bianchi sarebbe un utile esercizio. Ci sono state nella storia della città sentenze oscene, ma l’antimafia militante non se n’è accorta. Dormiva o si guardava la punta delle scarpe, come fa sempre quando si tratta di questioni che riguardano il potenti in vita, mentre dei morti parla e riparla. Ecco mi avrebbe fatto immensamente piacere sentire, ad esempio, la voce di Scidà dopo la scandalosa sentenza su piazza Europa. Forse ero distratto, ma purtroppo non l’ho sentita.

Chi fa, secondo te, attualmente, vero giornalismo antimafia a Catania?

Non faccio classifiche e non do patenti. Lascio queste pratiche ai “maestri”. A Catania vedo muoversi tante cose, vedo molti giovani colleghi che vivono male il sistema dell’informazione catanese. Molti purtroppo emigrano, non posso dare loro torto, ma questa è una sconfitta per la città. Molti non accettano di stare nel sistema e il web da questo punto di vista ha rappresentato un forte strumento. Quando ho cominciato io era molto più difficile. Adesso vi sono molte più possibilità per fare esperienza. Ma questo mestiere non è un hobby. Occorre che i giovani colleghi trovino una “casa” dove poter crescere e lavorare con una retribuzione dignitosa. Vedo molto sfruttamento e molta violenza nel mercato del lavoro, purtroppo è un fatto comune a tutto il Paese. A Catania il vero dramma è la condizione di feroce monopolio imposto da Ciancio e accettato supinamente dai grandi gruppi editoriali. Un giovane collega di Palermo ha molte più alternative rispetto ad uno di Catania. A Catania ci vorrebbe un giornale vero, indipendente, non uno dei tanti giornaletti autoreferenziali e dilettanteschi che non servono a nulla e sono infatti ben tollerati dal “Sistema”. Per farlo occorrono investimenti non enormi. Ma la borghesia sana che pure esiste non ha coraggio. Investire sull’informazione sarebbe un buon business, ma significherebbe mettersi contro Ciancio e per fare questo ci vuole tanto, forse troppo coraggio e se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare.

Su quali inchieste stai lavorando?

E’ appena finita la stagione televisiva e vorrei rifiatare in attesa della prossima. Gli anni pesano e i chilometri di più. Per il resto stiamo ancora promuovendo il libro sul caso Pasolini e in estate ci saranno alcuni appuntamenti. Poi ci sono un paio di argomenti che mi interessano ma non riguardano Catania. Ci sto ragionando e magari potrebbero diventare il prossimo libro. Poi c’è il mio blog su Il Fatto quotidiano on line. Il vero progetto però è rimettere mano, insieme ad Antonio Condorelli, al libro sul “Sistema Catania”…

Ti senti di mandare un massaggio riconciliatorio a Riccardo Orioles?

Perché mai dovrei farlo? Sarebbe solo un’ipocrisia.


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