E la chiamano “giustizia”


Pubblicato il 27 Giugno 2021

Quando penso alla giustizia del nostro regno italico mi vengono fastidiose allergie e nella realtà è semplicemente un pachiderma immobile e immoto. Disarmante è l’armeggiare di toghe nell’esercizio della retorica, in aule semivuote tra sferzanti orazioni in cui maestri forensi esercitano l’antica arte della parole. Ahìme(noi)da quelle parti il tempo trascorre invano nel contesto di un’aurea indifferenza sganciata dal comune sentire.

Per fare un piccolo esempio  nonostante non vige più il patto del “contegentiloni”   protettore novecentesco del sacro matrimonio  ancora oggi per scioglierlo possono passare anche quattro e passa anni, e alla fine la vera difficoltà(sic!) consiste nel produrre una scarna ordinanza “copia e incolla”. E la giustizia civile è utopia tra alambicchi e formalismi nel grande porto delle nebbie, dove si perdono i fascicoli forse entro archivi immensi, maleodoranti e ammuffiti, e dove si contengono faldoni, atti copiosi, carte infinite, e forse chissà che cosa. In tal modo si demoliscono le menti anche del più paziente degli attori dello scenario giudiziario .

E così si perpetua questo andazzo destino  cinico e baro, bensì pervaso da una kafkiana trama e da una confusa frenesia dell’autoreferenzialità. L’uomo della strada o della piazza si sottrarrebbe volentieri dall’ordalia dei giuristi, dell’ognuno per sé e Dio per tutti, eppure ognuno di noi deve affrontare una causa come in un terno al lotto in qualche sperduto luogo del regno. Le magnifiche sorti progressive del diritto ragionevole si esercita  tra un primo e un secondo grado, tra svolazzi di toghe nel sapiente e inconsapevole(!?) gioco delle parti nella massima disinvoltura e nella prosaica banalità. Ora la donna in odore quirinalizio spinge per  lex novus imposte dal drago europeista che giovana anche per ricondurre ad ordine le smisurate ambizioni di cordate avversarie.

Tuttavia appare un’impresa titanica  che si annuncia irta di ostacoli ,mine vacanti quando poi interverranno le solite mirabolanti dissertazioni nei due rami del “parlatoio”,quando si dovranno conciliare  i  giustizialismi e i garantismi, e si dovranno sedare gli“opposti estremismi” degli apocalittici e degli integrati. Fiuto il perenne fallimento della preannunciata rivoluzione copernicana e preconizzo l’affermarsi del tetro e opaco spettacolo di sempre.

Ghino Di Tacchino.


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