Catania

La chiesa catanese bacia la pantofola del sindaco

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di iena all’altare dei farisei marco benanti.

Mancava alla folta schiera di omaggianti del “nuovo” sindaco, il volto “buono e solidale” dell’arcivescovo di Catania. E’ arrivato pure lui: un po’ in ritardo. Dopo i “liberali all’italiana” e i postfascisti senza la maschera di “garantisti” (per gli alti papaveri), tutti uniti assieme a quote della “città perbene”, in linea con la tradizione di violenta indifferenza borghese ai problemi di libertà, di diritto e di giustizia sociale, ecco spuntare le dichiarazioni (fonte “Livesicilia”) di monsignor Renna. Che bacia la pantofola del “sindaco-sceriffo” Trantino, da giorni in pieno loop securitario. Era ora che arrivassero i cattolici del consenso.

Da Renna parole di appoggio alla “linea Trantino” sull’ordinanza: “ho gradito molto alcune norme che sono state ribadite per la movida nel centro storico, per la somministrazione di bevande alcoliche, per la cura dei nostri monumenti, imbrattati con scritte vandaliche” ha detto a “LiveSicilia”. Insomma, il capo della chiesa catanese ha a cuore la roba, le cose, anche di pregio ci mancherebbe, di Catania.

Peccato: non una parola sui divieti, i divieti sui divieti, come quello di non potersi sede sui “sagrati delle chiese”. Chissà magari ci potrebbe finire qualche clochard, qualche “sconfitto” (e i catanesi, veri cattolici italiani in molte loro espressioni quotidiane, stanno solo con i “vincenti”), qualche persona in difficoltà. Chissà.

Ma monsignor Renna va oltre e aggiunge, per motivare il suo assenso alla linea “Legge e Ordine” dell’ ex missino Trantino, che “…potere comprare bevande alcoliche a tutti gli orari è volere il male dei nostri figli. Perché un bicchierino fa la differenza”.

Parole di richiamo ai comportamenti sani e giusti, un po’ quelli che si possono magari annusare, pardon ammirare nei locali di qualche amico e/o dell’area politica del sindaco al centro storico. Ha ragione monsignor Renna: occorre ordine per l’alcool. Non occorre, invece, ricordare evidentemente che la povertà dilaga a Catania e non trova, spesso, spazi per la sopravvivenza, in dignità. E che diamine!

Finalmente una chiesa che sa che si possono prendere a calci i poveri disgraziati sui propri sagrati, magari solo per portarli lontano dalla vista delle “persone perbene”? Da Catania, tanto per cambiare, arriva un segnale preciso: quando il Potere si stabilizza, anche i messaggi populisti perdono vigore (e il “ceto medio riflessivo” scompare). Mai mettersi contro il manovratore. E poi non è bello per la “città del privilegio”, quella che è rimasta in città e quella che è salita su dalle parti di alcuni comuni pedemontani, sempre più ristretta ed elitaria, allontanare da sè questi “sconfitti”, i cafoni di basso o nessun ceto (magari da sanzionare)?

La “città perbene” non vuole vedere la povertà in faccia, vuole divertirsi e fare affari: con i locali alla moda (chi controlla i decibel?), con gli affari piccoli e grandi sul commercio e affini, in attesa del “sacro mattone” che deve rivalutarsi. Al centro soprattutto.

Denari su denari, anche a costo di violare un pacco di norme di diritto costituzionale, amministrativo, di duplicare prescrizioni previste dal codice penale, come testimoniato dall’ordinanza fascistoide sul decoro. Del resto, il “sindaco-sceriffo” ha, con il suo stile vanitoso e arrogante, si potrebbe dire inconfondibile, in linea con quello di qualche notabile venuto prima di lui, dato degli “idioti” a quella minoranza (santa minoranza!) che critica da giorni l’impostazione e i contenuti dell’ordinanza, che arriva persino a trasformare i vigli urbani in “censori” delle scelte private. E la Chiesa? Pensa a chi imbratta e a chi beve birra.

Una città perfetta per i catanesi, per il suo Comune e la sua Chiesa, in linea con la loro più profonda indole: quella di stare, in ordinata servitù, con chi comanda. In attesa di “saltare via”, magari dopo qualche battuta qualunquista, verso…il nuovo potente di turno.

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Benanti

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