Politica

“Politici vil razza dannata”? Ma a Paternò…

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Qualche tempo fa, per ragioni “di vita” mi sono imbattuto nella campagna elettorale della città di Paternò. Era il 2017 e a Paternò ci stavano, a quei tempi, la destra e la sinistra con dei candidati che rappresentavano il prototipo perfetto dei due schieramenti. Un professore colto e perbene rappresentava la sinistra; un giornalista dal buon lessico e dalle frequentazioni altolocate parteggiava per la destra. Le elezioni invece le vinse il popolo che elesse un sindaco dal motto fantastico come lui: presenti sempre! In quel motto ci stava tutto il suo programma elettorale: lui, il sindaco, sarebbe stato dappertutto e non solo nei posti istituzionali. Con lui, il sindaco, il cittadino avrebbe avuto sempre una spalla su cui piangere, quattro chiacchiere per il caffè, il tempo per raccontargli i suoi problemi con la burocrazia, con la moglie, con i vicini. Con lui i cittadini avrebbero avuto un sindaco che era uno di loro. E poco importa per il fatto che indossava vestiti demodè con quel nodo alla cravatta grosso quanto il collo. Poco importa se anche i discorsi che faceva non erano proprio istituzionali. Che il programma elettorale era – appunto – tutto un programma. Poco importa, persino, per come non sarà amministrato il paese. Tanto con quelli di prima non si stava meglio e almeno lui, il sindaco, era uno di loro. Quella esperienza mi fece cogliere qualcosa che stava germogliando un po’ dappertutto. L’italiano medio non vuole più essere rappresentato da qualcuno che è meglio di lui, ma bensì da uno che è proprio come lui. E spingendosi un po’ più in là la politica nella sua fase attiva non è più appannaggio della buona borghesia, con buone scuole, buone frequentazioni, modi di fare miti e pensieri alti. No: la politica è di chi è rappresentativo di qualcosa. Di chi ha provato e sentito come si vive in un posto, di chi ha le cicatrici della vita. Di gente che ha studiato i problemi senza viverli, il popolo non ne vuole più sapere. Voi mi direte: Paternò non è Catania, non è la Sicilia, non è l’Italia. Invece, vi sbagliate quel che è accaduto alle pendici dell’Etna avverrà dappertutto. Sono avvertiti i Salvi Pogliesi e gli Enzi Bianchi che pensano di poter aver delegato il potere da gente che non è come loro, che ha problemi diversi da loro, che vive in casa meno belle, mangia cose meno costose e frequenta gente profondamente diversa da quella normale. Del resto, se ci pensate, guardate cosa sta accadendo in Italia. Chi lo avrebbe mai detto qualche anno fa che una come Giorgia potesse solo pensare di diventare presidente del consiglio. Non lo avrebbero accettato le classi dirigenti. Non lo avrebbero accettato i grandi elettori. Non lo avrebbe voluto il Paese e anche lei, con un po’ di modestia, avrebbe detto: io Presidente? Dai non scherziamo…

Adriano Meis

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Iene Sicule

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