Marco Iacona

Buon Natale e buon anno nuovo alla mia città. In ritardo, Catania è comunque abituata alla non-puntualità, ben lo sanno gli amanti della polemica archi della marina e/o piano regolatore. Che anno sarà? Un conservatore se ne uscirebbe con la prudentissima: “Quel che è sempre stato” e date le premesse non si andrebbe lontano dalla “realtà”. Il nuovo sindaco che fa? Fa quello che un sindaco dell’èra post-Bianco non può non fare (Pogliese è stato una specie di intervallo, come quello di una volta con le pecore): vendere l‘immagine della città. E venderla bene: massimo risultato e minima spesa. D’altra parte la destra oggi non può non scommettere tutto – cioè scommettere culo e camicia – sulla seconda parte del moto: “La moglie di Cesare dev’essere fedele ma anche deve apparire fedele”. Sull’“essere” andremmo molto oltre le capacità di questi amministratori che appunto amministrano (curano la cosa, non la ri-pensano) forse bene forse no; sull’apparire siamo perfettamente in linea con talune esemplificazioni, come in una partita di carambola il far centro più e più volte. D’altra parte Roma (“Sole che sorgi libero e giocondo…”) non è stata costruita in un solo giorno e… chi va piano va sano e va lontano? Il problema è che lontano c’è per esempio Librino, o magari lontanuccio San Berillo, o qualche traversina al centro che non è propriamente la City che si pensava di costruire più di mezzo secolo fa. E prima o dopo lì devi arrivare… Si scherza ovviamente.

L’anno si è aperto con il ricordo dell’omicidio Fava (5 gennaio 1984) che aveva perfettamente compreso, e prima degli altri, che la mafia era una “società” che voleva fare affari e cercava alleanze con chi di questi affari avrebbe ricavato utili di natura politica. Le tante voci diverse chissà perché non fanno pensare (non è il caso di chi scrive) al motto del grande timoniere: “marciare divisi ma colpire nello stesso istante”), epperò a una sorta di “ognuno per sé e Dio per tutti”, anche se quest’anno come in precedenza Dio è stato “porzione” e non (come dire) super partes nelle celebrazioni. Ci mancava pure il partito di Dio… che non ricorda tanto l’Iran dei “bei tempi” ma quel gran pezzo da Oscar che è Blues Brothers (Dio come mandante di una missione…, che non sarebbe male se i missionari fossero meno “cazzoni”). Ma saremo tutti contenti lo stesso, ché sole, mare e bel tempo ci metteranno di buon umore. Anche qui scherzo ovviamente, anche se penso che l’atto del marciare “divisi” sia l’ultimo dei problemi di una città in perenne crisi di “verità storica”. Perfino di superficie.

La fine è l’origine: torniamo al sindaco. L’uomo più ottimista d’Occidente. Scrive sui social che in città c’è “voglia di reagire al torpore che si era annidato negli anni passati”; non c’ero, mi fido delle sue “impressioni” (anche se sembra un frasario come dire… vecchio) e dice anche che “La città è fatta da chi la vive; non da chi la governa”. Una scommessa sulla “società in-civile” che personalmente mi sarei risparmiato, manco Salvini – avete presente quel leghista che a San Giovanni la Punta mi confessò che la Sicilia era uno “spettacolo” per poi tornarsene a Pontida? – si sarebbe spinto fino a lì.

In chiusura un “Siamo pronti per Sant’Agata” che ovviamente è ben altra cosa da “Sant’Agata è pronta all’assalto dei catanesi”. Una festa che tutto è tranne che un “ritorno” a una celebrazione intimista che rappresenterebbe, essa sì, una sterzata molto più credibile. I catanesi hanno bisogno della festa (di quella festa) per ri-celebrare le proprie dis-funzionalità, rendendosi protagonisti di una tre giorni o più di teatro nel quale riversare la propria “animalità” (con annessi spettatori), per credersi ragionevolmente protagonisti; poi la primavera sarà l’inizio di un nuovo ciclo, identico ciclo.

E niente. Auguri e speriamo non vada peggio. Sarà già un successo.

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Iene Sicule

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