Politica

Sulla “corruzione” del matriarcato

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di Marco Iacona.

Ne ho lette tante, troppe. Il tragico omicidio della ventiduenne Cecchettin ha scatenato un fiume di parole a cui seguono già taluni fatti e ne seguiranno presto ancora, di più gravi e seri (ovviamente non gravi e seri come la tragica morte della studentessa). Riassumerli sarebbe complicato e tutto sommato inutile, immersi come siamo nel diluvio delle narrazioni.

Cominciamo da qui. Onestà di chi scrive vuole che siano rese palesi le lenti ermeneutiche attraverso cui leggere i fatti. Mai creduto a quella fattispecie umorale e massmediatica che è il cosiddetto femminicidio; chi dà una lettura diversa dei fatti (e non solo quelli di oggi) ne ricava una lezione fortemente ideologizzata sproporzionatamente a vantaggio di un “genere” che per usare un linguaggio che fu di Marx è oggi fortemente in ascesa. Dunque questo “gruppo” pretende spazi (ne ha già a sufficienza), regole (da trasformare in velati privilegi), posizioni (cioè status) sempre più di primo piano, basando la propria narrazione su un’idea di mondo del tutto irreale. Non con reali (appunto) condizioni sociali in relazione alla divisione dei ruoli e alla presenza femminile nei “posti che contano” si avrebbe a che fare (e delle quali ovviamente si può discutere), bensì per rendere più forti le proprie ragioni, con una visione “vecchia” anzi falsa, sovrastrutturale (di comodo) della società che vede(va) nel patriarcato (epperò del tutto inesistente se ne facciamo appunto una questione sociale) il responsabile delle morti violente delle donne, da molti anni o perfino (per quello che dirò dopo) da “sempre”.

Data la postulazione di un patriarcato (indimostrabile fino a ieri, del tutto falso oggi) si imputa a questo – cioè a una serie di costumanze che vedono la donna in condizioni di “sottomissione” – la responsabilità delle cosiddette violenze di genere, morti dovute alle reazioni appunto di tipo “patriarcale”, “maschiocratiche” ma non solo… a un nuovo protagonismo che se lasciato a se stesso porterebbe la donna a ricoprire chissà quali ruoli. Ora:

1.Non ho mai ben capito cosa si intenda per patriarcato dato che una società patriarcale in realtà non è mai esistita, semmai una società “sessista” secondo biologia per cui i ruoli erano e adesso lo sono molto meno (sarà per caso questo il problema?) del tutto separati. L’uomo faceva l’uomo e la donna la donna (a dirlo era per esempio J. J. Bachofen). E i ruoli di comando erano assolutamente divisi e separati secondo un detto e un non-detto risalente a posizioni archetipiche. Per me (e non solo per me, per fortuna) indissolubili.

2.Non essendo mai esistito un patriarcato secondo il quale tutto il potere era nelle mani degli uomini (avendo la donna mille armi, per lo più di ricatto, su cui contare, senza considerare la sua tradizionale slealtà e la scarsa capacità razionale se paragonata a quella dell’uomo), la narrazione circa la prevalenza dell’uomo è del tutto inventata, ideologica appunto; epperò (e il punto è questo), ciò avviene in una società i cui valori sono del tutto mutati e dove:

a. l’educazione (cioè l’apprendimento di uno “stile”) è un orpello da ridurre al minimo, dato l’interesse unico per la relazione di lavoro e guadagno che prevede una sorta di “eguaglianza di fatto” tra (tutti) i partecipanti per sveltire e migliorare il processo produttivo;

b. le tracce tradizionali sono sparite e la comunità è appunto adesso società “civile” retta esclusivamente da interessi economici; in questo “tipo” di società il capitale (cioè il potere) avendo oramai quasi consumato le risorse del maschio bianco (bene o male) abituato a pensare e a trasformare il mondo, si rivolge adesso alle donne tramite l’ideologia femminista (le donne, non capaci come gli uomini, sono emotivamente disorientate) e ai popoli del nuovo mondo tramite le ideologie “terzomondiste”, cioè alle masse in grado di portare avanti un processo produttivo oramai de-pensato, sempre più nelle mani di intelligenze artificiali o altre. A spingere le macchine burocratiche, a manovrare mezzi e schiacciare pulsanti o a tecnicizzare il sapere bastano e avanzano (basteranno e avanzeranno) le donne e più in là verrà il turno dei popoli di diversa cultura;

c. in una società siffatta ogni donna è “regina regnante” e ad essa spetta la responsabilità del processo (progresso) sociale. Le narrazioni che la vedono uno o più passi indietro rispetto all’uomo – in Occidente – sono ovviamente del tutto false, avendo peraltro le donne la possibilità di far carriera, come avrebbe detto Max Weber utilizzando il potere del sesso, sessualizzando (nel senso cioè di rendere tutto un affare di letto) ogni contesto, trasformando così una tradizionale separazione dei sessi in una “erotizzazione dei sessi” che era l’esatto contrario di quello che diceva Sigmund Freud, giocando dunque sul fattore irrazionale;

d. ecco il vero punto: taluni brutali assassìni delle donne (che non sono certo riconducibili a un disegno “criminoso” voluto, preordinato e avente uno scopo preciso), non avverrebbero a causa della reazione del maschio che si vedrebbe perdutamente scalzato nel suo potere decisionale (peraltro la letteratura di tradizione vuole che la donna sia dia la morte da sola causa un abbandono che oggi è ben lontano dall’essere evocato), bensì proprio a causa del prestigio o “privilegio” che la donna avrebbe perso in quel frettoloso e burrascoso passaggio da uno status di donna “iperuranica” (per se stessa e secondo letteratura) a una di “manager” pronta a gestire un potere profano, sporco (come era quello dell’uomo fino a poche generazioni fa) e con incontrollate carenze di moralità.

In questo movimento dalla luce del sole verso le tenebre del buio la donna avrebbe “perduto” il rispetto dell’altro da sé (gli episodi di sfida continua di assenza di educazione, di superficialità in contesti di “lavoro” sono ormami infiniti) ma anche il rispetto di se stessa, discendendo i gradini di una scala “di prestigio” fino a lambire il livello infero di un girone dantesco, e in questa “rivoluzione” verso il male (ma tipica, per chi ci crede del kali yuga), la donna si sarebbe fatta “soldatino” di un’“idea” per conto di un potere che ne sfrutta e vellica desideri e piaceri. E in una guerra dalle posizioni ben distinte (solo però per chi sposa una diversa lettura dei fatti rispetto al mainstream) e come in un conflitto senza esclusione di colpi si contano e conteranno vittime e si riconoscono e riconosceranno carnefici. Naturalmente uomini ma anche donne. Donne come la Cecchettin vittima di un uomo (per il quale certamente auguriamo il massino della pena) e vittima di un “matriarcato” (per esso mi figuro nonostante tutto un regno di purezza), durevolmente in crisi, da secoli morente.

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Iene Sicule

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