Catania, i coniugi Rossella Lanza e Angelo Leone attendono giustizia da oltre due anni: loro figlio è morto al Santo Bambino


Pubblicato il 16 Aprile 2012

Dopo oltre due anni nessuna giustizia per i coniugi Leone: il loro figlio è deceduto, in circostanze ancora non chiare, al “Santo Bambino” di Catania. Ma alla Procura tutto – o quasi- “dorme”

di Iena Giudiziaria, Marco Benanti

Perdere un figlio, rischiare la vita e non sapere –ancora ad oltre due anni dal fatto- nulla. Succede a Catania, ospedale “Santo Bambino”. Succede a Catania, Procura della Repubblica.

Protagonisti, vittime sono i coniugi Leone, Rossella Lanza, 30 anni, la madre, Angelo Leone, 37, il padre (nella foto). Persone semplici, vite di ogni giorno. Nessuna conoscenza altolocata, nessuna “protezione sociale”: da oltre due anni vogliono solo sapere come e perché è morto il loro figlio, deceduto al “Santo Bambino” dopo una notte tremenda. Oggi, i coniugi Leone vivono in periferia, con i loro due figli, di sei e tredici. Non vogliono niente di particolare: solo giustizia. E a Catania è sempre in salita, quando non hai “santi in paradiso”.

Più delle parole, contano le parole. Ed è il racconto di una donna, Rossella, che ha perso un figlio e ha rischiato la vita. Come sono andate le cose? Parla Rossella (ecco la sua testimonianza che riportiamo, le eventuali responsabilità saranno vagliate dall’Autorità Giudiziaria): “Il 27 settembre 2009 sto male. Di mattina, chiamo il mio ginecologo. Gli dico che ho dei dolorini. Mi indica di prendere una pillola di ‘Spasmex’. Passano poche ore e al’ora di pranzo e mi sento un’altra volta male. Mi sento spingere. Allora, decidiamo di andare al pronto soccorso. Chiamiamo nel frattempo il ginecologo che ci assicura la sua presenza in ospedale”.

La donna arriva in ospedale, al “Santo Bambino” dove le vengono fatti i primi esami del caso: “facciamo il tracciato, i prelievi e tutto il resto. Mi dice la dottoressa che mi visita: ‘le contrazioni ci sono, io a casa non la mando perchè lei ha già avuto due cesarei’ “. Ma il medico deve smontare. La donna fa presente che la vorrebbe ancora vicino. Avverte forse che la situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro. Ma niente. La donna viene ricoverata, al terzo piano. “Tutta la nottata la passo bene. Poi, l’indomani, ecco arrivare il dott. Scordino, un medico. Che mi dice: ‘non mangi perché forse scende il sala parto per fare il cesareo’.

Successivamente torna il medico e mi fa una puntura di ‘Spasmex’. Mi dice anche di mangiare qualcosa per colazione, forse perché ancora non è in arrivo il momento del parto”. Arriva il pomeriggio: dal tracciato viene fuori qualche contrazione. Il tracciato viene ripetuto. Qualche dubbio viene fuori. In serata, la donna comincia a sentirsi male. Che sarà mai? “Chiamo l’infermiere e scendo in sala parte. Trovo la dottoressa Scuderi , l’ostetrica, che mi dice: ‘c’è qualche piccola contrazione, però ancora non…’ Ma io stavo male, avevo sudore e altro. Dico alla dottoressa Scuderi di farmi il cesareo. Sento dolori. Per tutta risposta mi dice: ‘che fa, vuole insegnarmi il mestiere a me?'”

Bene cosa accade? Rossella comincia a vomitare: “mi mettono il cestino vicino al letto –racconta- e vanno via.” Alle dieci e mezzo della sera, ritorna la dottoressa Scuderi: “mi mette una flebo di miolene, con la raccomandazione che l’effetto non si vedrà subito”. Eppure, la nottata è terribile: dolori su dolori. “Alle quattro di mattina –ricorda la donna- vado in bagno e mi trovo in una ‘pozzanghera’ di sangue”. Rossella chiama aiuto. Ad assisterla chi è? Personale medico o altro. No? “La mamma della signora ricoverata nella stessa stanza”. Poi arrivano gli infermieri. Viene deciso il trasferimento in sala parto. Passano minuti e non mancano le “sorprese”. Racconta Rossella: “la porta per entrare in sala parto non si apre. Insomma, trambusto. E ancora: il dott. Rizzari reclama subito il cesareo. Ma la dottoressa Scuderi tenta ancora di farmi fare il tracciato. Tutto questo, con la rottura dell’utero e il dolore lancinante che ne deriva.”

Dopo tutto questo (“dopo che mi hanno passare le pene dell’inferno”-grida Rossella) dopo mezz’ora, in sala parto, le viene fatto il ‘cesareo’. Operano il dott. Rizzari e la dottoressa Scuderi. “Dopo il cesareo, il bambino nasce, ma non piange –racconta la donna- perché gli manca l’ossigeno, ma secondo me gli mancava già dalla sera antecedente, perché vedendo il tracciato si capiva che il bambino aveva qualche sofferenza.” Insomma, la morte del bambino “è dovuto ad un ritardo del cesareo, che io avrei dovuto fare prima” –afferma Rossella. “Mio figlio è morto anche perchè la miolene non si fa in occasione del parto, come accaduto a me. Di come erano andate le cose (della morte del neonato, ndr) l’ho saputo dai miei parenti”.

E cosa accade dopo? “Mi volevano dare aiuto dopo forse, sono diventata anemica. Davvero mi hanno fatto vedere le pene dell’inferno. Quel giorno è morto un altro bambino di un’altra donna. Mentre davano aiuto a me si occupavano anche di quella ragazza. Quel giorno c’è stato un macello in sala parto, non si capiva più nulla.” Dopo il parto la donna resta in ospedale altri quattro giorni. Parte la denuncia per quanto accaduto al “Santo Bambino”. In particolare per il “ritardo nel cesareo, la terapia con miolene, problemi di personale” –dice Rossella che grida: “io personalmente ho rischiato la vita. Il dott. Rizzari me l’ha salvata”.

Intanto, i carabinieri sentono la donna. E che accade? Da allora, a distanza di due anni e mezzo non se ne sa più nulla. “Siamo andati –dicono moglie e marito- più volte in Procura, ma non abbiamo nemmeno trovato il pubblico ministero titolare dell’indagine (il dott. Setola, ndr). La segreteria ci ha detto che le carte erano sul tavolo.” In attesa di cosa? E dall’ospedale? “Niente, nulla, non si sono fatti sentire.”-dice la donna. “Ancora non si sa cosa è successo” –dicono i due coniugi. E adesso cosa si attendono? “Chi ha sbagliato deve pagare” –affermano i due coniugi. Quando arriverà la giustizia?


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