“Iblis”: dalla Cassazione nuovi elementi di chiarezza sulla rilevanza penale del rapporto mafia-imprenditoria

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Ci vogliono prove chiare e definite per indagare e chiedere un processo. Lo  ha ribadito la Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sulla posizione di alcuni indagati nell’inchiesta “Iblis”, avviata dalla Procura della Repubblica di Catania a carico di politici, imprenditori e malavitosi.

“…E’ tuttavia ovvio che nel passaggio dalla sfera del notorio e dal momento sociologico od epistemologico a quello giudiziario è necessario che quel dato di conoscenza si attualizzi e storicizzi nelle forme dell’elemento probatorio, ovvero nell’indizio grave univocamente funzionale non nell’accertamento della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza…”.

Va bene la sociologia, la scienza politica (talora la strumentalizzazione politica), le valutazioni magari etiche, di costume, ma per incardinare un processo, dopo un’indagine con elementi probanti, ci vuole altro. Davvero altro. E’ stata chiara la Cassazione: ci vogliono le prove chiare e definite per indagare e chiedere il processo, non bastano solo i “de relato”.

La Suprema Corte chiamata a pronunciarsi, nell’ambito dell’inchiesta “Iblis”, sulle scarcerazioni degli imprenditori coinvolti nell’operazione del centro commerciale la Tenutella di Misterbianco è andata oltre: una specificazione sul rapporto mafia-imprenditoria che potrebbe avere sviluppi ulteriori, in particolare per la posizione dei fratelli Lombardo, indagati nella stessa inchiesta ma la cui posizione è stata recentemente stralciata dal capo della Procura.

“L’ipotesi accusatoria – scrivono i giudici – secondo la quale Cosa Nostra sia particolarmente attenta a cogliere in nuove iniziative imprenditoriali utili opportunità di infiltrazione o di redditività parassitaria sotto forma di imposizione estorsiva è tesi tutt’altro che fantasiosa ed implausibile”. Ma ci vogliono prove chiare e definite, elementi probatori ben chiari e diretti e non solo situazioni riferite da altri (“de relato”). La quinta sezione della Cassazione che ha esaminato i ricorsi di quattro indagati, gli imprenditori Rosario Ragusa e Giovanni D’Urso, l’avvocato Agatino Santagati e Felice Naselli, ha anche censurato l’ordinanza del Gip che ha riguardato la custodia cautelare in carcere, rinviando ad una nuovo collegio del Tribunale del riesame. Gli avvocati Vittorio Lo Presti e Mario Brancato alla luce della sentenza della Cassazione hanno subito chiesto la scarcerazione dei loro assistiti.

Ma al di là della posizione di questi indagati, la considerazione che sorge riguarda la tanto travagliata questione dei fratelli Lombardo, in particolare del Presidente della Regione Sicilia. Da mesi si discute –non senza strumentalizzazioni- sulla sua posizione: l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, con gli elementi raccolti dai Ros e dalla Procura di Catania, può reggere in un dibattimento (una decisione che potrebbe portare alle sue dimissioni, come sperano i suoi nemici politici)? Insomma, si può fare un processo con questo materiale d’Accusa? Su questo punto, c’è stata una profonda divaricazione dentro l’ufficio di Procura, tanto che, nello scorso giugno, il Procuratore facente funzioni Michelangelo Patanè ha stralciato la posizione dei Lombardo (oltre che di un altro imprenditore), mostrando di non condividere la posizione dei quattro Pm (Gennaro, Fanara, Boscarino, Santonocito) che hanno condotto l’inchiesta e che intendevano chiedere il rinvio a giudizio anche dei Lombardo.

La decisone del dott. Patanè sarebbe legata al fatto che l’Accusa non reggerebbe in sede di giudizio perché sul concorso esterno all’associazione mafiosa fa giurisprudenza la sentenza di assoluzione della Cassazione nei confronti dell’ex ministro Dc Calogero Mannino. Cosa dice la sentenza? In soldoni, che ci vuole la prova di un concreto vantaggio –per tutta l’associazione mafiosa- dall’operato del politico accusato di rapporti di scambio con la mafia. Ovviamente, ci vogliono prove chiare e dirette per arrivare a dimostrare un simile rapporto: un compito non facile, che richiede un materiale accusatorio vasto e penetrante sul crinale del presunto rapporto fra politico e associazione mafiosa.

Soprattutto, ci vogliono prove chiare, indizi di rilievo probante che lo scambio abbia raggiunto l’obiettivo, con un preciso “ritorno” vantaggioso per le parti della presunta collusione. Quel che –oltre a ciò che dice la Difesa di Lombardo- non viene fuori dalla lettura degli atti di “Iblis”.

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Redazione Iene Siciliane

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