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L’ultimo marziano
Pubblicato il 18 Agosto 2025
di Marco Iacona.
Pippo non c’è più. Se ne va il re Sa-Baudo della televisione (così Marcello Veneziani). Un re Mida dietro e oltre se stesso (e gli altri), dietro e oltre qualsiasi spacconata (che non gli apparteneva); un uomo che ben conosceva il significato del significante “spettacolo”, che ben conosceva il significato del significante “vita” (cioè vita privata). Un padre per tanti, un patriarca per molti, un fratello maggiore per milioni di italiani. Da qualche anno a riposo, sfiduciato come un vecchio – a maggior ragione se “grande” – che osserva il calare del sole sugli antichi “possedimenti”, non più protagonista, non più “se stesso”. Sfiduciato per non poter più “inventare” uomini e cose.
Pregi e difetti? Oceanici. Chi ha lavorato per più di mezzo secolo in Rai, e non solo in Rai, è stato un “animale politico” sovente mai in atto (un democristiano Pippo, di quelli che bastava vederlo…). Era uno scopritore di talenti che se la batteva con l’amico Arbore, era un siciliano d’anima (Cazzullo non fa che ripeterlo… ma che problemi ha?), mai a mezzo servizio.
In quel suo immobilismo un po’ aristotelico (non è attratto, ma attira a sé), in quel suo protagonismo da primo della classe (sapeva fare tutto, pare) ma anche da “ultimo” (un vecchio amico diceva che la maggior virtù baudesca fosse quella di servire senza esser servo), in quel suo vichianesimo per cui il “vero” era il fatto creato dal cercatore di verità (quindi da Baudo stesso), si nascondeva quel sentimento popolare – solo a tratti romanzato – che era la retorica narrazione di un’Italia incredibilmente adulta. Probabilmente, quasi felice. Da perfettissimo uomo del sud (e qui chiamo ancora in causa Veneziani) sapeva che il passo più lungo della gamba – e le sue gambe erano lunghissime – sarebbe costato tanto: era generoso il giusto, Pippo, gentile ma non servile (appunto), disponibile e moderato; un lottatore che si era preso quel che certe qualità da “difensore” gli avevano permesso di ottenere. Un signore dall’estro prudente; così lontano da Gramsci (nevvero, Fusaro?) perché un certo mondo di polemiche “di palazzo”, di lividi egemonismi, gli era completamente estraneo.
Un uomo vecchio-regime dove per regime si intende il bianco-e-nero, poi il colore: la luce abbagliante gestita dal potere della generazione dei “padri”. Un regime nel quale il pubblico o popolo (e lui di questo “universale” pareva infatuato) finiva per contare più di quanto sarebbe accaduto dopo. Incredibile! Un uomo del popolo e per il popolo, democraticamente a servizio del proprio saper fare, del talento artistico altrui… e dei gusti altrui. I decenni baudiani – da Alberto Sordi, a Massimo Troisi, dalla Parisi a Eros Ramazzotti – sono stati un riconoscere se stesso nel talento del prossimo. Mai un sovrapporsi, mai uno sgomitare goffo e infecondo. L’Italia non era Baudo, ma si vedeva attraverso Baudo, che regalava al pubblico la parte platonica di un sé allargato.
I suoi spettacoli serali celebravano (blandivano) l’uomo medio che fieramente riconosceva pregi e virtù del prossimo. Quell’Italia che sembrava eterna, venuta fuori dal boom, poi dal Sessantotto, che non aveva perduto la vecchia compostezza della patria dei campanili; dove se sapevi fare qualcosa: ballare, cantare, suonare, divertire, potevi davvero dire la tua… Erano questi pregi o difetti? Sfido chiunque a comprenderlo. Un uomo che conservava nelle qualità e nei gusti e rivoluzionava nel cambiamento, spiando quelle generazioni che l’Italia l’avevano fatta davvero e che si muovevano a passettini, faticando, credendoci. Così lo ricordo.
Poi però… quello che era il suo “mondo” (e per molti versi il nostro, di mondo); ciò che era stato il Paese più di ogni ridicola setta massonica, più di ogni finta pratica rivoluzionaria, più di ogni illusorio cambio di governo, venne scosso da una travolgente emergenza. Com’è noto tutto cambiò, e dall’oggi al domani. Pippo era stato un marziano abitante un pianeta che si riconosceva nel “migliore dei mondi possibili”, ma un giorno su Marte sbarcò la navicella Fininvest, capitanata da un comandante cordiale ed eccentrico, persino enigmatico. Eravamo su Marte appunto, e quell’uomo che non si definiva un progressista, seppe e volle dar spazio a ogni stramberia (o novità) pur di far soldi, pur di alimentare un mercato pubblicitario incredibilmente appetibile. Molti italiani (e qui si rileggano le pagine di Montanelli) caddero nella rete.
Berlusconi, uomo del nord che ha per Bibbia il manuale del commerciante; che misura se stesso dal successo economico e legge il successo economico con la tecnica di un immediato apparire; Berlusconi che ha per confessori uomini del suo entourage – poi, chi più chi meno, tutti in politica – inizia a dettare la sua legge. Per la seconda volta dalla fine della guerra, il Paese si ritrova agiato e protagonista. O forse è solo un lungo periodo intervallato dagli “anni di piombo”, che nasce con la dissacrante commedia all’italiana (e con Fellini) e finisce con la commedia sexy (e con la scomparsa di Fellini). L’Italia diventa un Paese costantemente in vetrina, (greve) che guarda, si guarda, e si fa osservare e spiare. Un Paese crepuscolare che ha perso la poesia. Baudo il moderato-progressista (Berlusconi padre dei moderati-conservatori…), subisce le prime sconfitte. Accusato di baloccarsi con un gusto misero e retrò, si ritrova faccia a faccia col “cavaliere” tentando si ritrovare un nuovo se stesso, stavolta nel campo nemico. La storia della carriera del Pippo-nazionale e della scalata berlusconiana è stata già scritta, e i giornali di questi giorni la cavalcano a più riprese. Siamo alla fine degli anni Ottanta, e il cinquantenne di Militello è costretto a ri-scrivere la storia di se stesso. Si riprenderà (tornerà in Rai), sicuramente farà ancora certa cassetta. Il “suo” pianeta però è stato invaso dai berlusconidi (strano popolo: a guidarli, tra gli altri, la coppia Costanzo-De Filippi); e quella che sembrava eternità è solo una porzione di tempo che conduce, dritto per dritto, a un ingestibile terzo millennio. E lui lo sa bene.
In quel duello Pippo-Silvio, che vide il secondo vincere senza far sconti, senza se o ma (come quel Milan che nel frattempo cambiava le sorti del calcio, come quella seconda repubblica che è ancora memoria viva ed esercizio attuale), c’è buona parte della storia degli ultimi decenni. Il patriarca del sud, colto, misurato ed elegante e il patriarca del nord, arrembante e spregiudicato. Chi vinse lo sappiamo bene. Se Berlusconi è stato l’avanguardia dell’anti-gusto, Pippo Baudo è stato il Ratzinger degli e per gli spettatori italiani. In tanti rimpiangono Silvio, ma è giusto che oggi e nei prossimi giorni l’Italia ricordi l’ultimo dei “governanti” saggi, il mitologico (quasi fiabesco) reggente di un pianeta lontanissimo. Nato nella città dei Majorana, un mese dopo la proclamazione dell’Impero.



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