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“Mafie e narrazioni”: il seminario di lunedì 13 marzo

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Nell’Auditorium “Giancarlo De Carlo” del Monastero dei Benedettini si è tenuto il penultimo appuntamento del ciclo dei Seminari d’Ateneo “Territorio, ambiente e mafie”, giunto alla decima edizione. L’incontro dal titolo “Mafie e narrazioni” è stato seguito da numerosi studenti sia in presenza sia collegati on line. Saluti iniziali della professoressa Rossana Barcellona. Quindi il professore Antonio Pioletti, ideatore e fondatore dei Seminari d’Ateneo, ha coordinato il dibattito. Pioletti ha posto l’accento sul particolare interesse offerto dalla narrazione letteraria nell’interpretazione del fenomeno mafioso. «La letteratura sempre detiene e comunica più verità di quelle discipline che si ritiene attingono alla più oggettiva verità» afferma Leonardo Sciascia nel racconto intitolato “Il fuoco nel mare”. «Con i suoi mezzi specifici – afferma il professore Pioletti – la letteratura ricrea il reale, lo trasferisce in visioni e immagini che permettono di sondarne i fondali più riposti, penetra in faglie che possono dischiudere l’inconscio, pone domande che spingono all’autoriflessione. Con le grandi qualità di cui parla Calvino nelle sue lezioni americane la letteratura ha questa particolare funzione e importanza». È dunque di grande interesse esaminare quale tipo di immagine, quale tipo di rappresentazione la letteratura ha dato e dà delle mafie. La parola è poi passata ad Attilio Scuderi, professore associato di Letterature Comparate all’Università degli Studi di Catania.
Il professore Attilio Scuderi passa attraverso citazioni tratte dal libro di Isaia Sales “Storia dell’Italia mafiosa”, riflessioni sulle inchieste condotte nell’Italia post-unitaria, sulla narrazione dell’esperienza personale narrata da Andrea Camilleri ne “La bolla di componenda” e sulla  condizione del professore Laurana nel racconto di Leonardo Sciascia in “A ciascuno il suo”. Nel corso della sua approfondita analisi individua nell’antropologia della mafia parte dell’antropologia della violenza umana, che si basa, si struttura e si consolida grazie ad atteggiamenti remissivi, gregari propri dello stato eteronomico di sudditanza alla violenza, in una situazione sociale nella quale l’individuo regola il suo comportamento secondo le direttive che provengono da una persona di stato superiore.
Interessante anche l’intervento di Rosario Castelli, professore associato di Letteratura italiana presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania dove insegna anche Letteratura e Cinema e Didattica della Letteratura.
Le sue riflessioni muovono dall’articolo-intervista di Leonardo Sciascia pubblicato il 10 gennaio 1987 dal Corriere della Sera con il titolo “Professionismo dell’antimafia”, attribuito dalla redazione, e dal casus belli che ne derivò nel contesto particolarmente acceso di quegli anni. Il professore Castelli traccia la figura di Sciascia quale attento osservatore e intelligente studioso oltre che sensibile preveggente dei futuri sviluppi. Nel “Giorno della civetta” è chiaramente espressa la necessità di seguire la pista del denaro per raggiungere i vertici politici del malaffare, piuttosto che inseguire il sogno delle leggi speciali contrario ai metodi democratici e anche inefficace. Anche in “A ciascuno il suo” dalle parole che don Benito rivolge al professor Laurana si evince il metodo prospettato da Sciascia, la via del danaro, che a 20 anni di distanza sarà il metodo applicato da Giovanni Falcone nella lotta alla mafia. Con la metafora della linea della palma che va a nord, Sciascia prevede anche la nazionalizzazione del fenomeno mafioso. Nel suo intervento il professore Castelli offre una attenta lettura del ragionamento ampio e articolato di Sciascia sul fenomeno mafioso, che conduce oltre le accese polemiche suscitate dalla critica al carrierismo anti-mafioso.

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Iene Sicule

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