Marco Pitrella: “Il Pd superi certo familismo correntizio e diventi un partito”


Pubblicato il 07 Giugno 2023

Marco Pitrella, quale città esce fuori dalle elezioni?

“Catania brucia capovolta”, qualcuno ebbe a scrivere due anni fa, proprio quando, mentre bruciava l’Oasi del Simeto, patrimonio di tutti, alcuni fra i vertici delle istituzioni, tanto dell’allora maggioranza quanto dell’allora opposizione, furono più celeri ad esprimere solidarietà ad un noto lido della Playa, coinvolto dalle fiamme, che a pensare a tutto il resto. Ecco quella è la politica che ha vinto, è la politica “dell’inchino”; metà dei catanesi, intanto, è rimasta a casa.

Chi ha votato Trantino? Ci sono, a tuo avviso, novità nelle dinamiche del voto?

Ti rispondo così, ti rispondo con un elenco: Luca Sammartino, Valeria Sudano, Gaetano Galvagno, Nello Musumeci, Raffaele Stancanelli, Marco Falcone, Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro, votavano e facevano votare Enrico Trantino.

Se non bastasse, ex renziani e calendiani votavano e facevano votare Enrico Trantino.

Un nome? Francesca Raciti. Presidente del consiglio comunale del partito democratico nell’ultimo mandato di Enzo Bianco (2013/2018, ndr), candidata alle elezioni nazionali del 2018 sempre nella lista del partito democratico nel collegio proporzionale di Catania, subito dopo Paolo Gentiloni; in quest’ultima tornata amministrativa, candidata addirittura nella lista di Trantino. Di che stupirsi? Se gli italiani, per citare Ennio Flaiano, soccorrono sempre in aiuto del vincitore, figurarsi in Sicilia, a Catania e fra le zone della Playa di Catania, dove la Raciti con il lido di cui parlavo prima ha a che vedere: altro che dinamiche, tutto torna.

Raffaele Lombardo è un leader che porta innovazione o un ordinario gestore di potere?

Se Raffaele Lombardo sia un leader che porta innovazione francamente non saprei dire, ma certamente è uno che il consenso lo sa cercare, trovare, raccogliere e mantenere.

Coincidenza vuole che “coerentemente” con il suo essere autonomista sia stato il primo ad avviare un dialogo con la destra sovranista, lanciando la candidatura a sindaco di Ruggero Razza, ex assessore alla sanità, in contrapposizione aperta alla candidatura di Valeria Sudano, della Lega.

Coincidenza vuole che, a poco più di un mese dal voto, dopo il coinvolgimento di Razza nell’indagine della magistratura catanese sulla sanità, coincidenza vuole stessa inchiesta che ha visto il coinvolgimento dell’ex assessore alla famiglia, Antonio Scavone, il “lombardiano eponimo”, Lombardo con il centrodestra cambiasse cavallo velocemente ripiegando su Enrico Trantino. Razza prima e Trantino dopo, due che in Fratelli d’Italia militano nella stessa area, quella di Nello Musumeci, due che, seppur non formalmente, condividono (o hanno condiviso) lo stesso studio.

Coincidenza vuole, a conferma della “contiguità” tra Lombardo e Fratelli d’Italia, che nella lista di “Grande Catania”, una delle due liste dell’Mpa, in coppia con Sebastiano Anastasi, sia stata eletta Serena Spoto, anch’ella dello studio Trantino: di “coincidenze” ce n’è più d’una.

Che giudizio hai della campagna elettorale di Caserta?

Quella di Caserta è stata una campagna elettorale generosa e difficile; cominciata con i tavoli progressisti che ritengo essere stati una delle esperienze politicamente più significative degli ultimi anni; non esagero se dico di valore nazionale. Infatti, dopo lo “strano” ritiro di Abramo, improvviso e quasi a ridosso della presentazione delle liste, Caserta con generosità ha accettato di mettersi a disposizione della coalizione del progressisti, evitandone l’implosione e consapevole delle enormi difficoltà che si paventavano di fronte alla sua scelta. Senza di lui, la campagna elettorale rischiava di diventare una “Caporetto” di proporzioni indicibili per le forze che avevano dato vita alla scommessa dei tavoli progressisti, davanti ai quali, senza un accordo, l’alternativa sarebbe stata per ognuno correre da soli. Ebbene, nonostante il poco tempo a disposizione, Caserta è riuscito a comunque ad avere 32.032 voti, 6mila in più delle liste che lo sostenevano.

Quello che è parso non essere sufficiente in campagna elettorale, più per responsabilità dei partiti della coalizione che del candidato sindaco, è stato un racconto della città e dello stesso programma. C’è da dire, che l’empasse determinata dal “Caso Abramo” probabilmente ha inciso. Il lavoro fatto sul programma è stato penalizzato da dal poco tempo rimasto per farne un protagonista della campagna elettorale e probabilmente, tanto per rimanere in tema, bisognava parlare di più dello scandalo della sanità, non certo con toni giustizialisti ma dando una lettura politica della vicenda che coinvolge il centrodestra siciliano e il precedente governo regionale, quello di Nello Musumeci. Mi sono posto spesso questa domanda: e se “l’affaire sanità”, raccontata da Mario Barresi su ‘La Sicilia’, oltre a coinvolgere Catania e personaggi di rilievo del centrodestra, fosse invece una dinamica che coinvolge le nove Asp della Sicilia, tra loro in raccordo? E se le centinaia di assunzioni fatte con procedure discutibili nella tempistica e altro, avessero quasi una concomitanza non casuale con lo svolgimento delle elezioni regionali e politiche di settembre 2022 e poi con le amministrative di maggio 2023? In ultimo, nel momento in cui si attua il depotenziamento da parte del governo Meloni del reddito di cittadinanza, lasciando che siano i poveri a essere penalizzati a Catania, nell’intera Sicilia e in tutto il Mezzogiorno, forse un’azione più incisiva nei quartieri popolari capace di parlare anche di un nuovo welfare comunale al servizio delle classi sociali più disagiate, non poteva attrarre di più l’attenzione di quanti sono andati a votare e di quanti di andare a votare non ne hanno avuto intenzione alcuna?

Il Pd cosa dovrebbe fare adesso?

Mi auguro possa diventare una comunità politica, che superi innanzitutto certo familismo correntizio, e che diventi appunto un partito; un partito di opposizione che abbia l’ambizione di guardare con più determinazione ai problemi cittadini; vivere il pluralismo interno come elemento di forza, senza scordarsi mai dei valori che hanno contribuito a fare la storia democratica del nostro Paese. Per troppo tempo a Catania, anche a sinistra, a volte si è stati in silenzio, lasciando che fossimo noi della stampa (solo alcuni di noi) e la magistratura a intervenire: si avrà questo coraggio?

Per quel che riguarda le amministrative poi, seppur in condizioni difficilissime, tutto sommato il risultato c’è stato; un risultato che consente di guardare con fiducia avanti. 10.530 voti, pari all’ 8,52%, sono un dato di tutto rispetto, per un simbolo che alle elezioni amministrative di Catania manca dal 2013 e che coincide con l’ultima vittoria di Enzo Bianco. E a proposito di Enzo Bianco, dispiace non abbia capito che questo era il momento di fare un passo indietro e fare il padre nobile di un nuovo gruppo dirigente.

Ci spieghi a tuo avviso come si diventa consigliere comunale a Catania?

Ti posso dire della mia esperienza; mi sono candidato poco prima che si chiudessero le liste, e credo di aver fatto una bella campagna elettorale, durante la quale ho avuto la possibilità di conoscere nuove persone e avere confermata la stima di tante altre; dai compagni della Cgil agli esponenti del partito democratico che mi hanno sostenuto, poi tanti amici, vecchi e nuovi. Questo è per me il ricordo più bello della campagna elettorale.

Ciò che conta, in fondo, è il percorso: perché il percorso lo determino io, l’epilogo è determinato da tanti altri fattori. Il risultato ottenuto di circa 500 preferenze è davvero gratificante e superiore alle aspettative. A coloro che mi hanno onorato della scelta, va il mio profondo ringraziamento.

Se tornassi indietro, ti candideresti?

Sentivo il dovere in un momento difficile di dare un contributo a questa città che da vent’anni considero come mia e così ho fatto e sento di avere fatto bene.


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