Partito della Cgil: “Alla Pallacorda dei giacomini!”

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Va da sé che paragonare al giuramento della Pallacorda (vedi foto), atto che della rivoluzione francese fu preludio, quel che ha fatto domenica il partito della Cgil (così va definito), è sputare sulla storia. S’è trattato, infatti, del ritiro di una congrega o un gruppo di vacanzieri nella sala di un Hotel del lungomare a discuter… di che? piagnucolar piuttosto, di regolamenti, di soprusi e di primarie.

Ma se Barresi, il Mario maestro di stile, su La Sicilia ha titolato l’articolo sulla dirigenza regionale del piddì “La Fattoria degli animali”… che Pallacorda, alla catanese s’intende, sia. Certo, nell’anno del Signore 1789, era il mese di maggio, furono i rappresentanti del Terzo Stato ad abbandonare l’Assemblea degli Stati Generali e a ritirarsi, appunto, nella sala della Pallacorda, per protestar contro la decisione di clero e nobiltà di far votare per “casta” e non per testa – sempre le cose elettorali ci colpano -, giurando “di non separarsi … finché non fosse stata stabilita una Costituzione…”.

Ma se allora c’erano i giacobini, ora ci sono i giacomini.

Tutti a protestar loro che sostenevano alla segreteria regionale la Piccione, ritiratasi dalla competizione contro Renzi e Faraone. Fra l’altro di andar via dal partito, i giacomini, non ne hanno alcuna intenzione: fanno sto bordello, un’isteria pari a quella di Concetta Raia per la mancata candidatura nel proporzionale alle elezioni nazionali (c’era abituata, siccome), tanto per vedere “il modo di passare la serata o, in generale, il tempo”, per citar “Gli anni perduti” di Brancati.

Nell’attesa di Zingaretti, il Nicola che alla segreteria nazionale è candidato, buono l’hanno fatto il conto; pesarsi, come sempre si fa alle primarie del piddì, con il fine del “che c’è per me?”. Vabbè, che domenica hanno detto “è a rischio la democrazia del partito”, “lacerazione”, “il partito delle correnti”; tutte ste belle parole hanno una sola traduzione: la consapevolezza che “nun c’è nenti pa iatta” (non c’è niente per la gatta).

In fondo, del parlare a loro stessi i Giacomini sono maestri. Sono un po’ come i cioccolatini di Forrest Gump, i giacomini: non sai mai se ti capita davanti uno che parla per il partito o uno che parla per il sindacato. Certo mai a titolo personale, tutt’al più familiare: da Torrisi padre, Giacomo, a Torrisi figlio, Jacopo.

E dovrebbero esser i giacomini quelli meglio di Valeria Sudano e Luca Sammartino? al massimo sono un’altra famiglia, i giacomini.

Hanno ridotto la funzione sindacale a strumento elettorale; cosa che andrebbe persino chiesta scusa ai Caf, che di più ne hanno dignità. Avessero fatto “quacchecosa”, i giacomini, dinnanzi alla distruzione del welfare dei governi d’ogni lato e d’ogni sponda! Per non parlar della Regione; quella di poter piazzare Angelo Villari, l’incompiuta, era l’unica preoccupazione. Che poi alla Regione c’avevano piazzato Bruno Caruso, del diritto del lavoro un “barone”, e per giunta proprio all’Assessorato del Lavoro: abbiamo detto tutto. E che dire del Comune di Catania; in principio fu Fiorentino Trojano (un uomo un perché), poi Villari e, a ridosso delle elezioni regionali, la staffetta con Fortunato Parisi, il prezzemolino socialista, che della Uil il segretario provinciale. E come facevano quadrato attorno a Enzo Bianco; loro stessi che marciano adesso avversi al dissesto.

Di che stupirsi? l’unica preoccupazione dei giacomini, dopo la “Pallacorda”, catanese, è stata quella di provare a smentire quanto scritto da Benanti, il più famoso Marco direttore delle Ienesicule; non ci poteva pace che Benanti con una foto avesse evidenziato le tante sedie vuote: “fosse venuto prima avrebbe visto che c’erano almeno 250 persone”, qualcuno ha avuto il coraggio di dire. Fosse vero, si preoccupassero piuttosto del perché chi c’era (se c’era) era andato via: non è che hanno timbrato il cartellino?

Un ultimo sputo alla storia va dato con l’aneddotica: al giuramento della Pallacorda, c’era, tra gli altri, un tale Guillotin; già, Guillotin, quello della ghigliottina, che da lì in avanti avrebbe persino “divorato” i figli della rivoluzione. Ma ci fosse almeno una testa tra i giacomini.

 

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Marco Pitrella

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