UN GIUDICE A CATANIA COME A BERLINO


Pubblicato il 25 Agosto 2025

Riepiloghiamo i fatti. La Sicilia di ieri ha pubblicato l’articolo “UniCT, tutto da rifare al concorso per prof “. Tre candidati si contendono la cattedra di Biochimica Clinica: tale professoressa Siracusa, la professoressa Barresi ( senza ‘tale’ perché di Lei ho un buon ricordo ) ed infine tale professore Civardelli che sembra essere il terzo incomodo. Faccio intanto osservare che trattandosi di biochimica clinica, cioè legata alla clinica, vale a dire quell’aspetto della biochimica strettamente connesso alle malattie, si presuppone che l’aspirante cattedratico sia un medico, cioè laureato in Medicina e Chirurgia. In poche parole che abbia esperienza di malati e malattie. E’ così per i candidati ?

Da quanto leggo nell’articolo sembra che la professoressa Siracusa abbia una produzione scientifica più corposa della professoressa Barresi, la quale si sarebbe dedicata più alla didattica ed alle altre attività istituzionali; e sembra che la commissione non abbia tenuto nella giusta considerazione le attività non cartacee. Non intendo discutere dell’attività scientifica degli ultimi decenni: il copia e incolla del computer ha sostituito molto bene l’attività dei monaci amanuensi. Ma questo è un altro discorso ed ovviamente nessun riferimento ai protagonisti di questa storia; voglio però raccontare ai lettori una storia che mi riguarda e che risale a quindici anni fa. L’università decise, per recuperare soldi, di mandare in pensione i Ricercatori senza una adeguata produzione cartacea. Insegnavo a quel tempo Semeiotica e Fisiopatologia nel corso di laurea, ed altre discipline in due Scuole di Specializzazione. Inoltre assieme ad altri quattro Colleghi mandavamo avanti molto dignitosamente un reparto di Medicina Interna con ventiquattro posti letto: per 24 ore al giorno e per 365 giorni l’anno. In quel tempo gli studenti esprimevano il giudizio sull’attività didattica dei docenti, ed il mio punteggio era, se non ricordo male, 98 punti su cento con punteggio medio della facoltà di medica intorno a 40 su cento. Feci rilevare all’allora Rettore che il tempo dedicato obbligatoriamente all’attività assistenziale ed alla didattica limitava enormemente l’attività scientifica e che in ogni caso il giudizio sul mio operato avrebbe dovuto tenere in conto non solo l’attività scientifica ma anche quella didattica e assistenziale. Mi fu risposto che l’attività clinica non faceva parte dei compiti istituzionali del docente universitario. Feci ricorso al TAR che non solo mi diede pienamente ragione, ma sanzionò l’Ateneo per una affermazione assurda scendendo, fatto estremamente raro come disse il mio Avvocato, sulla questione morale dell’importanza della didattica clinica, al letto del paziente, per lo studente che si appresta a diventare medico.

Lo stato della facoltà di medicina di Catania è ormai arcinoto: da una delle prime in Italia fino a metà degli anni ’70, è ora ultima nella graduatoria Italiana e forse planetaria. Evidentemente esistono gravissime lacune nell’attività didattica, specie in alcune, e quindi fortunatamente non in tutte, discipline mediche.

Il TAR ha fatto il suo lavoro egregiamente, ma non è possibile addossare alla Magistratura il compito di risolvere tutti i problemi. Abbiamo un nuovo Rettore che si insedia trovando disastri: quello della medicina è il più grave perché si ripercuote sulla salute pubblica che è un bene tutelato anche dalla Costituzione. La strada per la normalizzazione è lunga, tortuosa, accidentata, piena di insidie ed in salita. Ma chi ben comincia è a metà dell’opera.

Giuseppe Condorelli.

P.S. Complimenti al giornale per il coraggio nell’affrontare problemi spinosi.


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