di Marco Iacona
Amministrative catanesi, ulteriore riflessione proveniente da un uomo di destra. La destra di Enrico Trantino, quella cioè che appoggia la sua candidatura, è la destra che ogni sinistra sognerebbe. Culturalmente insignificante, conservatrice nel senso che è in piena continuità con la precedente amministrazione, slegata per formazione, costituzione e immagine (che non è poco) dalla destra che ogni uomo bazzicante certa destra “rivoluzionaria” più o meno in continuità con certo fascismo (“terzaforzista” diciamo, ma il discorso sarebbe lungo) sognerebbe. Una destra spiritualista non burocratica o peggio tecnocratica, battagliera e non meramente d’ordine (ammesso che la destra catanese lo sia, d’ordine), tendenzialmente anti-borghese (e qui tacerei), come antiborghese o per meglio dire anti-moderna era ed è buona parte della destra del dopoguerra (vale anche per “anti-conformista”), infine “futurista” non nel senso deteriore del termine ma nel senso di un movimento di rottura in relazione a certo passatismo. Ecco la parola magica: movimento, anzi movimentista, la destra catanese oggi (e ieri) appare come una destra immobile, annodata alla base solo per interessi, leggi: utilità di potere e consenso, una destra che come qualunque vecchia “squadra” democristiana, qualora vincesse, andrebbe legittimamente ad occupare ciò che per diritto le spetta. Punto.
Se questa destra vincesse sarebbe dunque la definitiva sconfitta di certo (a tratti però invero imbarazzante) pensiero alternativo; se perdesse invece la “mazzata” potrebbe dare il “la” a una tentata discussione di fatto mai affrontata sul, come chiamarlo?, sullo “statuto ideologico” e sul “cosa fare?” nel futuro a Catania. Ma confronto tenuto da chi e per cosa? Un momento di riflessione che non si limiti al solito chiacchierismo autoreferenziale tra le “diverse anime”, con borghesi, non-borghesi, finto-borghesi e finto-non-borghesi a tenere banco col solito finale che non sarebbe affatto un finale? Mah, sarebbe una sconfitta in ogni caso, sconfitta delle idee (alle quali la destra ha sempre detto di tenersi legata), sarebbe una fuga dalla storia con la contemporanea disfatta di chi volentieri avrebbe scelto due alternative, l’una alla sinistra tutta bla bla e “posti fissi” alla Zalone, l’altra alla destra povera in bla bla ma non in posti fissi o se non altro ben remunerati.
Finale nostalgico: una volta votare destra voleva dire votare contro il sistema, oggi votare destra significa essere per il sistema; il punto è questo: in quanti ci staranno? Quanti si tureranno il naso per non tradire certa “appartenenza”? Quanti invece dopo l’esperienza di “Salvuccio” diranno basta? Magari scegliendo Pippo Barone o qualsiasi altro candidato di rottura? Così vedo queste amministrative: si voterà per far vincere la sinistra, per far vincere la destra o perché la destra non vinca mai più.
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