In fondo, “Passaggio al bosco” non vuol dire passaggio al “basco”


Pubblicato il 07 Dicembre 2025

Marco Iacona

Che la sinistra o le sinistre siano intolleranti, non tollerino cioè il libero pensiero, seppur in generale sconveniente seppur alternativo al massimo grado (perfino “criminale”) è questione nota e ipocritamente dibattuta, oggi. Ipocritamente perché la comunicazione è una mamma che dispensa, generosamente, latte a tutti i suoi figli e loro, prediletti o meno, se ne servono per vivere, cioè ancora per certificare le loro miserabili esistenze. Un tempo si viveva di fede, poi d’amore (ma va’), oggi di piccioli. Esserci significa dunque consumare o fare o dare per consumare, che è ovviamente la stessa cosa.

Se il pensiero possiede quel qualcosa di “magico” per cui diventa scientifico quindi previsionale, perché lasciare ai profani diritto di parola, al solo scopo di intorbidare le acque? Se la filosofia della storia marxiana – e ovviamente non solo quella – prevede un traguardo, superato il quale la terra girerà finalmente nel verso giusto, perché perdere tempo con idee, anzi non-idee, di una errata cosmologia? Insomma, Marx l’aveva pur significata la frase “verrà un giorno che…” per cui tutti i rematori controcorrente verranno fatti fuori o sarà il bruto sistema a farli fuori. In un modo o nell’altro, essi rappresentano non un’opinione ma un problema nel percorso nobile della storia.

Perché meravigliarsi, dunque? Nella mia facoltà – dove massoni, comunisti ed altri finto-buoni vivevano, lavoravano e chiacchieravano amabilmente – funzionava così, e chissà in quanti altri posti andava, va e andrà ancora o per sempre così. Si chiama potere. Intanto lo acquisiamo poi quando la struttura crollerà, si vedrà: “noi” il nostro dovere l’abbiamo fatto. Ed essendo buoni, marcianti nella direzione giusta della storia, si tratta di un apporto valoriale nient’affatto da ridere. Ricordando Antonio Gramsci, Elémire Zolla diceva che l’intellettuale stipula un contratto col partito, o col potere a cui si sente legato, in seguito a vittoria ottenuta avverrà il “riscatto”. Intanto però si lavora per una causa più o meno comune.

Certo che intellettuali siano oggi Zerocalcare, Augias o non so chi altri, dà molto da pensare; ma non gramscianamente (gli intellettuali quello sono), ma più pessimisticamente sulla qualità delle personalità e degli argomenti dibattuti. È anche vero però che ogni periodo ha le sue forme e ogni forma è a suo modo globalizzante.

Questi sinistri dunque ce l’hanno con la casa editrice “Passaggio al bosco”, in quanto neofascista, neonazista od altro. Mattia Feltri scriveva, giustamente, che tra tanta roba di cose succose se ne trovano sempre nelle case editrici particolari. Ricordo una ricercatrice all’università che compulsava tra il nervoso e il meravigliato il catalogo, al tempo cartaceo, della libreria “Europa”, meravigliata del “ben di Dio” che contenesse: naturalmente glielo avevo fornito io, lei era troppo correct per procurarselo da sola. Anni prima, Massimo Cacciari – secondo il racconto che fece a me, e non solo a me Giano Accame – aveva provato la stessa meraviglia. Autori semi-clandestini (anch’essi, oggi, dati facilmente in pasto a rivoluzionari ingiubbotati) che rispondevano al nome di Tolkien (oggi le “Lettere da Babbo Natale” le vendono anche in farmacia, al tempo non riuscii mai a trovarle), lo Spengler che non si ferma all’Untergang, lo stesso Nietzsche, gli Jünger, i cosiddetti collaborazionisti francesi (so di una polemica da quattro soldi su Céline e Bardèche, meglio non ragioniam di “lor”, però), e vari altri, non circolavano a sinistra, considerati praticamente tempo perso, al più, appunto, sporchi reazionari. Qualche idiota di sinistra, auto-psicanalizzandosi suo malgrado, arrivava a considerare questi autori dei puri… idioti. Non eravamo più nei Settanta ma negli Ottanta, forse anche nei berlusconiani Novanta.

Adesso è tutto cambiato, ma purtroppo in peggio. Potete giurarci, la censura è sempre il miglior metodo per salvaguardare taluni autori dalla massa dei (non)pensanti. Se li censuri te li ritrovi nel girone degli eccelsi, se li dai al popolo te li puoi perfino ritrovare tra i best seller, insieme a Scurati e Cazzullo. Ovviamente, mai crederò che talune case editrici di “destra” stampino a volontà per testimoniare o peggio per “divulgare” la filosofia della crisi, della vita (della morte) o giù di lì. Quello dell’editore è il mestiere più “spacchioso” al mondo, così puoi fare anche il salumiere dei libri.

D’altra parte, credo che la tolleranza a destra (a destra si è davvero più tolleranti che a sinistra), origini da due cause forse entrambe poco nobili:

1.l’incredibile e irragionevole complesso di inferiorità verso la sinistra, compresi gli scemi di sinistra.

2.la contaminazione liberale, per cui volterrianamente la destra si fa veicolo di una libertà globale che contagia di sé l’intero spazio intellettuale. Di questa seconda, lo dico non avendo mai dimenticato certe lezioni liberali, se ne potrebbe obiettivamente fare a meno.

“Passaggio al bosco” una ragione jüngeriana per così dire oramai neanche troppo esoterica ce l’ha; soprattutto ha dei buoni titoli e dei buoni autori: Alain de Benoist per esempio, Dominique Venner, e Armin Mohler che scrisse un libro essenziale, anzi monumentale, sulla “Rivoluzione Conservatrice” tedesca; libro che consiglierei a Zerocalcare e perfino ad Augias così capirebbe che la destra non è Salvini (per amor di Dio!) e che la “pancia”, cioè il voto per interesse concreto, non è a destra, o forse non solo lì, ma a sinistra, o forse soprattutto lì. Così almeno è scritto sui libri di scuola, così almeno è scritto sui libri, quelli “belli”: non più l’hegeliano astratto, ma il marxiano concreto non più la “romantica” ragione umana ma la più “tosta” natura. Nevvero?


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