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“Indebita fruizione dei permessi”, doccia fredda sul segretario Uilm Catania Giuseppe Caramanna
Pubblicato il 10 Dicembre 2023
Doccia fredda (e salata) per Giuseppe Caramanna, segretario della Uilm Catania, il sindacato dei metalmeccanici della Uil. La Cassazione avrebbe confermato, in una recente delibera, la sentenza della Corte d’Appello di Catania (sezione lavoro) che, nel 2020, aveva sancito, confermando la sentenza di primo grado, la legittimità del licenziamento da parte dell’azienda per cui Caramanna lavorava, la STMicroelectronics, e lo aveva condannato (circa 10.000 euro solo per risarcimenti di spese processuali) per aver indebitamente fruito dei permessi della Legge 104, chiesti dal sindacalista nel periodo a cavallo tra la fine del 2012 e i primi mesi del 2013, per assistere la nonna disabile.
L’azienda, avvalendosi di strumenti investigativi, aveva rilevato un uso “distorto” dei permessi e aveva proceduto con il licenziamento che il numero uno della Uilm aveva poi impugnato. Nella sentenza d’appello vengono descritti e documentati minuziosamente gli episodi (un po’, quasi, alla “Civitoti in Pretura”) in cui Caramanna avrebbe abusato dei permessi. E le giustificazioni del sindacalista, così come pure i testi a suo favore (la moglie e un amico) sono risultati poco convincenti: “Il collegio – riporta la sentenza di Corte d’Appello – ritiene che i testi addotti dal reclamante siano assolutamente inattendibili e che pertanto non sia stata data prova, si ribadisce a carico del Caramanna, che la disabile si trovasse a casa del medesimo nei periodi controversi, con la conseguenza che va ritenuta pienamente dimostrata l’indebita fruizione dei permessi”.
La Corte d’Appello aveva dunque ritenuto validi i motivi addotti dall’azienda per giustificare il licenziamento di Caramanna, confermando il giudizio di primo grado del Tribunale di Catania contro cui il segretario Uilm si era difeso, come si suol dire, con le unghie e con i denti, evocando addirittura scenari ritorsivi contro la sua attività di sindacalista (una specie di “Che Guevara alla catanese”, insomma, quasi più “rivoluzionario” di Enza Meli), insistendo “sull’insussistenza e mancata prova dell’abuso dei permessi” e sulla legittimità e attendibilità delle videoregistrazioni prodotte dalla difesa dell’azienda.
Ma la Corte d’Appello ha confermato sia l’attendibilità che “la legittimità del controllo datoriale finalizzato – riporta la sentenza – all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex l. n. 104 del 1992, art. 33, suscettibile di rilevanza anche penale, quando – come nelle specie – effettuato al di fuori dell’orario di lavoro…”.
Ma non è tutto. Il dirigente Uilm aveva obiettato, tra l’altro, anche sulla mancanza di proporzione tra gli addebiti “e la sanzione adottata (il licenziamento, ndr), in considerazione della mancanza assoluta di danno per il datore di lavoro, dal momento che l’intero costo (dei permessi, ndr) era sopportato dall’ente previdenziale…”. In altre parole – secondo Caramanna – l’Inps, e non l’azienda, avrebbe semmai ricevuto un danno dalle condotte a lui contestate, visto che la 104 è a carico della collettività.
Ma le valutazioni dei giudici, a questo riguardo, sono “tranchant”: Il licenziamento sarebbe assolutamente legittimo “posto – si legge nella sentenza – che strumentalizzare un parente disabile al fine di sottrarsi alla prestazione lavorativa – al di là degli aspetti penali che pure sussistono – è condotta che assume grave disvalore sociale, in quanto denota colpevole indifferenza non solo per le inevitabili “complicazioni” organizzative create al datore di lavoro, ma anche nei confronti dei colleghi di lavoro che devono coprire il turno, peraltro notturno, al posto del fruitore del permesso, a maggior ragione da parte di un rappresentante sindacale aziendale”.
Ed ancora, sostengono i giudici, “la tesi secondo cui difetterebbe la proporzione tra addebito e sanzione per assenza di danno patrimoniale in capo al datore di lavoro, per essere l’ente previdenziale a sopportare integralmente l’onere economico delle assenze dal lavoro, denota assoluta mancanza di coscienza etica, dato che il costo dell’assenza dal servizio ricade sull’intera collettività”.
E ancora: “prive di valore ostativo sono, infine – recita ancora la sentenza – sia l’assenza di precedenti disciplinari, quando il licenziamento sia irrogato, come nella specie, per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastino con il cosiddetto “minimo etico”, sia la mancata espressa previsione della condotta in esame (indebita fruizione dei permessi) nell’art. 10, lettera B) del C.C.N.L. di categoria prodotto in primo grado, rubricato “Licenziamento senza preavviso”, nel quale, peraltro, sono contemplati, in via generale, non solo le ipotesi del lavoratore che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale, ma anche quelle del lavoratore che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge (qui il delitto di truffa aggravata)”.
Chiusa la vicenda processuale adesso per Caramanna si potrebbe aprire il problema politico. E’ eticamente (e “deontologicamente”) compatibile, è la domanda, l’esito del processo e i fatti a lui addebitati con il ruolo sindacale che ricopre? Deciderà di dimettersi? O farà finta di nulla come nella migliore tradizione catanese? Domande, solo domande. La risposta però in questi casi non spetta ad un tribunale ma alla propria coscienza.
iena marco benanti.
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