Assoesercenti Sicilia – Unimpresa: nei primi sei mesi dell’anno i settori più importanti tranne l’edilizia chiudono con un saldo negativo


Pubblicato il 01 Agosto 2022

Il Presidente Politino: preoccupa la situazione di incertezza politica

Sono 12.964 le imprese nate in Sicilia nei primi sei mesi del 2022, circa 297 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A fronte di questo 10.029 imprese hanno chiuso i battenti, 1.187 in più rispetto al 2021. Tutto ciò determina 2.935 imprese in più nei primi sei mesi del 2022 contro un saldo positivo di 4.419 imprese nello stesso semestre del 2021. A fronte di questo il bilancio della nati-mortalità delle imprese tra gennaio e giugno di quest’anno, anche se positivo, risente pesantemente delle restrizioni seguite all’emergenza Covid-19 e rappresenta un saldo positivo inferiore rispetto allo stesso arco temporale del 2022. A questo si aggiunge che si comincia a registrare il clima d’incertezza conseguente agli squilibri geo-politici innescati dal conflitto Russo-Ucraino 

I SETTORI PIU’ COLPITI.

Si tratta di un dato che però si riflette negativamente anche a livello settoriale, per il commercio, per il turismo, per l’industria, e per i trasporti

. L’unico settore che registra un saldo positivo è quello dell’edilizia con 516 imprese in più rispetto alle 291 dello stessso periodo del 2021. Il grande balzo in avanti dell’edilizia è stata dettata dal Superbonus 110%. Purtroppo la stretta sulla cessione del credito fiscale rischia di paralizzare i lavori di riqualificazione energetica legati al Super bonus 110% e ai vari bonus per la ristrutturazione della casa. Per questo  – sostiene il Presidente di Assoesercenti Sicilia – Unimpresa Salvo Politino– chiediamo interventi per modificare la normativa. La stretta introdotta per limitare le frodi potrebbe però non essere a costo zero, portando a degli effetti negativi sui conti dello Stato per la riduzione degli investimenti e per mancanza di liquidità 

Gli effetti conseguenti allo stato di eccezionalità in cui l’economia reale si sta muovendo, causato dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, appesantiscono il risultato di un bilancio dei primi sei mesi dell’anno. In calo le iscrizioni e aumentano notevolmente le cessazioni rispetto al 2021. E’ quanto emerge della fotografia scattata dal Centro Studi di Assoesercenti Sicilia – Unimpresa attraverso una analisi dei dati di Infocamere.

DIFFERENZA TRA PROVINCE. 

Guardando la geografia siciliana delle imprese, Catania si colloca al primo posto delle province come saldo positivo, seguita da Palermo, Messina e Siracusa. L’unico saldo negativo viene registrato dalla provincia di Trapani che passa da + 533 del primo semestre 2021 a – 55 dello stesso periodo del 2022.                                                                                                                                      Il commercio registra in Sicilia un saldo negativo di 962 unità, ma soprattutto mancano nei primi sei mesi dell’anno 3.418 imprese (oltre il 34% del totale cessazioni ); ovvero hanno chiuso i battenti 18 imprese al giorno. Catania registra per il settore commercio il saldo negativo più importante ( – 245 imprese ), seguita da Palermo, Agrigento e Trapani

Nel primo trimestre del 2022, a livello globale, si sono manifestati diversi segnali di shock di offerta, a causa della forte ripartenza dell’economia dopo la pandemia: penuria di materie prime, difficoltà a reperire manodopera, colli di bottiglia nelle filiere produttive internazionali. La guerra tra Russia e Ucraina, iniziata il 23 febbraio, oltre a enfatizzare alcuni fenomeni già in corso, ha indotto un ulteriore shock attraverso:

  • l’ulteriore aumento dei prezzi energetici (in particolare gas e petrolio) e dei beni agricoli, che erode significativamente i margini operativi delle imprese, con riflessi negativi sull’attività economica;                                                                                                                                          
  • il peggioramento delle difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare quelli provenienti dai paesi coinvolti;
  • il forte incremento dell’incertezza che influenza negativamente la fiducia degli operatori penalizzando le decisioni di investimento delle imprese e di consumo delle famiglie; le sanzioni e le contro-sanzioni economiche applicate alla Russia; 
  • il livello di rischio sui mercati finanziari, che cresce e dovrebbe ulteriormente peggiorare, per via della possibilità di default del governo russo, di istituzioni bancarie e industrie e dell’elevata volatilità di alcuni tassi di cambio.

Se non si interviene tempestivamente, l’abnorme crescita dei prezzi delle materie prime finirà con il ricadere sulla crescita e rendere vano il lavoro e gli investimenti fatti anche grazie ai fondi del Pnrr. Nello stesso tempo è paradossale che in un Paese ad elevata disoccupazione, in particolare giovanile, vi sia una richiesta inevasa così elevata di manodopera. E’ necessaria una profonda riflessione sul nostro sistema formativo. Servono risorse per sostenere le politiche attive per il lavoro e la formazione finalizzate a sostenere l’apprendistato formativo e l’apprendistato professionalizzante e per rifinanziare il Fondo nuove competenze, favorendone l’accesso alle Pmi, aggiunge il Presidente Politino. Servono sgravi fiscali e previdenziali per le imprese che decidono di investire e fare nuove assunzioni.

Il Decreto Aiuti Bis prossimo all’approvazione del Consiglio dei Ministri, che prevede interventi a sostegno delle famiglie e delle imprese non sarà sufficiente a calmierare i prezzi e ad evitare forme di speculazione in corso. Il Paese Italia ha bisogno di stabilità e governabilità. Sono a rischio gli impegni per risollevare gli imprenditori da questi due anni di crisi, per realizzare il Pnrr e le riforme, per affrontare il drammatico impatto della guerra in Ucraina su famiglie e imprese .         Un incompleto raggiungimento degli obiettivi del Pnrr metterebbe a rischio 17,8 miliardi di finanziamenti Ue; il blocco dei crediti fiscali per i bonus edilizia peserebbe per 5,2 miliardi sulle imprese con la perdita di 47mila occupati e la minore domanda di lavoro e i mancati effetti espansivi della politica fiscale potrebbero mettere a rischio oltre 206mila persone, con un effetto recessivo complessivo su 253mila posti di lavoro.

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