“Catania fa paura”: lo scriveva Pippo Fava negli Anni Settanta. Nel 2023 il sindaco in versione sceriffo se la prende contro “teppistelli da quattro soldi”


Pubblicato il 12 Luglio 2023

“Catania fa paura”: lo scriveva Pippo Fava negli Anni Settanta. Nel 2023 il sindaco in versione sceriffo se la prende contro “teppistelli da quattro soldi”.

Proponiamo l’articolo “Catania fa paura” di Pippo Fava, estratto da “I Siciliani” libro che raccoglie inchieste, articoli e altri interventi dello scrittore e giornalista ucciso dalla mafia nel 1984.

Così viene descritta Catania (da pag 290 a pag 295)….trovate le differenze con quanto accade oggi (2023).

“…Era un ufficiale pluridecorato, aveva al suo comando centinaia di uomini con cannoni e mitragliatrici, ma continuò: “Anzitutto il traffico! Appena ci entri nel mezzo non puoi né parcheggiare e nemmeno fermarti, ti suonano davanti e dietro, ti superano da destra, da sinistra, dal marciapiede, qualche volta ti trascinano in direzione opposta alla tua, e guai se rallenti, se protesti con un sorriso, se ti fermi a chiedere un’informazione., ti insultano, ti tamponano, picchiano pugni sul cofano e sulla capote…Un mio collega colonnello venne addirittura schiaffeggiato da un’auto all’altra….!”

Un altro ufficiale continuò: “Quando riesci a parcheggiare sono trascorse già non meno di due ore, e da quell’attimo comincia il peggio con tutta una nuova serie di eventualità: furto dell’auto o semplicemente scasso della stessa con asportazione di tergicristalli, fari, paraurti, sterzo e libretto di circolazione, scippo della borsetta o della collana, borseggio del portafogli, bomba sotto la poltrona al teatro o al cinema, rapina con sparatoria e proiettili vaganti, finto incidente stradale all’uscita della città con scippo folgorante di borsa, valigetta, occhiali e ombrello, ed ancora regolamento di conti con duplice omicidio in una strada del centro, inseguimento di volanti e mostruoso tamponamento del forestiero…”

La signora alzò dolcissimamente una mano e concluse: “ E tutto questo per andare a teatro?”….”

“Ecco il concetto che centinaia di migliaia di persone abitanti nelle città e province limitrofe hanno di Catania, è questo! Una città che fa paura! Fanno paura la velocità ossessiva della città, la rapacità, l’imbrogli o, l’incombenza continua della truffa, il denaro falso, l’aggressività, la sporcizia, il caos del traffico, la presenza continua del ladro, la fulmineità dello scippo, la prepotenza, la violenza, le banche presidiate dai poliziotti privati con le divisa da sceriffo, la radio portatile e il mitra a canna corta, le squadre antirapina, le squadre dei “falchi” (unica istituzione in Italia) con i giubbotti di pelle nera e le motociclette giganti. Un distinto signore che vive nella sua cittadina, ossequiato, salutato e quindi rispettato e protetto anche da colui al quale usa socialmente sopercheria, questo galantuomo che al suo paese è certamente qualcuno, arrivando a Catania perde qualsiasi connotato, diventa nessuno, può essere aggredito, scippato, derubato, inseguito come qualsiasi altro e se protesta viene preso a anche a schiaffi e redarguito. ..”

“…Perchè a Catania la violenza è totale, cioè non è soltanto l’assassinio fra gruppi rivali, la sparatoria improvvisa, i cadaveri in mezzo alla strada, ma ogni altro tipo di violenza possibile, il furto dell’auto, lo scippo, la truffa, l’imbroglio, i soldi falsi, l’arroganza, la perentorietà, il sarcasmo, la sensazione che alcune antiche regole borghesi della vita comune siano state cancellate per sempre e che governi invece una regola di vita che tra componenti essenziali: il potere politico, la ricchezza e la violenza. Chi è fuori da queste tre forze umane non trova posto! Non riesce a vivere!…”

“…Catania ha tre anime, questa è la verità, l’una diversa dall’altra, tutte e tre coesistenti ed estranee. In realtà negli ultimi cinquant’anni, questa città ha rappresentato l’approdo per migliaia, decine e centinaia di migliaia di forestieri. Le sue enormi capacità commerciali, la fama della sua università, il fascino stesso della sua allegria hanno attirato una moltitudine di forestieri dalle province dell’oriente siciliano. Intere famiglie che vendevano casa e terra per seguire i figli negli studi, una folla di studenti che giunti alla laurea decidevano fanaticamente di restare comunque a Catania per cercare lavoro, un’infinità di commercianti che smontavano il loro piccolo esercizio economico di paese per impiantarlo comunque in un quartiere catanese, una folla di professionisti avidi che arrivavano per aprire i loro studi di avvocati, ingegneri, medici, Catania era la sede preferenziale per professori di liceo e maestri elementari, ufficiali di presidio, grossisti, rappresentanti di commercio, bancari, impiegati e funzionari dello Stato.

Erano quasi sempre individui giovani e quindi forti, pazienti, animati da una straordinaria capacità di lavoro, da una inesauribile sete di guadagno, quasi tutti venivano per giocarsi la loro partita esistenziale e quindi erano anche intelligenti, preparati, avidi. Se fate una breve indagine in qualsiasi banca, ufficio, scuola, istituto, palazzo vi renderete conto che il cinquanta per cento sono immigrati dalla provincia. Lentamente, fatalmente, essendo borghesi di una certa forza professionale e culturale, si sono impadroniti della città e comunque l’hanno trasformata come loro conveniva, i servizi, le strade, i palazzi, l’urbanistica, le scuole, le presidenze, le direzioni, i posti di potere, le grandi imprese, i finanziamenti, gli appalti, i primariati, le ville, i villaggi residenziali, i campi da tennis, le piscine, le zone residenziali sui lungomari.

Intendiamoci. Questa moltitudine non snaturava la fisionomia antica del catanese, il suo dialetto, l’antico sarcasmo, il folklore mentale, chiunque arrivasse a Catania cominciava ad impadronirsene materialmente ma veniva a sua volta conquistato mentalmente, imparava subito a parlare con una voce di naso, diventava a sua volta arrogante e sfottente, acquisiva sveltezza, ironia, spirito, mariuoleria. Affinava insomma la parlata e l’intelligenza al gusto catanese.

Mentre tutto questo accadeva, un’altra parte di Catania veniva spinta indietro. I più poveri, i più deboli, gli affamati, gli ignoranti, i disoccupati, la plebe: cento, centocinquantamila esseri umani respinti verso i ghetti del sud, intanati sempre più profondamente nelle viuzze che scavano i quartieri di S. Cristoforo, Fortino, Angelo Custode, Corso, Santa Maria Goretti, come rigagnoli d’ una immensa fogna umana, edifici fatiscenti, case scrostate, tuguri, immondizia dovunque, torme di ragazzini ai quali la società concede solo un po’ di scuola impaurita: non una palestra, uno spazio per il gioco, una pista di cemento, una piazza di verse, né una prospettiva di lavoro, una casa popolare, un mestiere. Per costoro la società è una cosa astratta e lontana che non garantisce niente, né educazione civile, né fognature, acqua, sport, lavoro, casa, difesa dalle malattie, ospedali per curarle, asili, assistenza, igiene, ordine. La regola fondamentale che si apprende fino dall’infanzia, il principio esistenziale, la sola cosa insomma che si ritiene vera è la esistenza di due società, una che può usare violenza sull’altra. Evidentemente le norme civili che regolano l’esistenza della prima non possono essere accettate dalla seconda. Vengono oltraggiate.

Così per un ragazzino di dieci anni lo scippo diventa già una occasione favorevole per distinguersi dal gruppo; l’aggressione conto un’auto al “passo dei ladroni” una prima esigenza organizzativa di gruppo; la devastazione delle cose pubbliche, sedili, aiuole, cabine telefoniche, il piacere di piccoli attentati di un’infinitesima guerra civile. A dodici anni lo scippo, a quattordici il furto delle auto, a sedici lo scasso dei negozi, a diciotto la rapina nelle tabaccherie, a venti l’assalto alla banca, e quindi anche l’omicidio, se è necessario. Infine l’estorsione che è la possibilità di campare secondo la propria capacità di violenza, facendosi pagare la vita dagli altri, dai fortunati, dai più ricchi, da coloro che appartengono all’altra anima della città e ne godono i vantaggi.

La parte più miserabile della popolazione, respinta nel ghetto, culturalmente disarmata, politicamente impotente non ha altro mezzo per riconquistare la città che la violenza. E la esercita sempre e dovunque, contro chiunque.

Ed ecco due anime di Catania: la prima avida, impaurita, intelligentissima; preparata, padrona di tutti i mezzi di potere di tutte le ricchezze, politicamente disponibile a qualsiasi sistema purchè garantisca ordine pubblico, sicurezza personale e possibilità comunque ad ognuno di continuare a farsi gli affari suoi; la seconda affamata, feroce, imbestialita, che assalta continuamente, che si nutre degli scarti, rifiuti, pedaggi, estorsioni…”.

“’C’ è una cosa folle. Pagano tutti, sempre. Cioè l’anima rapace, ricca, fortunata, potente paga ogni giorno il suo prezzo vile all’anima miserabile infelice e violenta. Ogni tanto uno scossone, un muggito di collera, e centomila voti ai fascisti per significare che vorrebbero un poliziotto ad ogni angolo di strada, e leggi che consentano di picchiare a sangue lo scippatore catturato in flagrante, ed altre che prevedano la fucilazione per l’assassinio.

Mai è passato una sola volta per la testa che la maniera sarebbe di togliere i miserabili dalla miseria, gli infelici dall’infelicità, i violenti dalla violenza, di dare la casa, la scuola, la palestra, l’ospedale, l’acqua, la capacità e quindi anche l’occasione di un lavoro moderno.

Fra questa anima disperata e criminale che popola il sud di Catania, dal quartiere della Marina, fino alle colline di corso Indipendenza e Monte Po, e l’altra anima potente e tremebonda che ha trasformato la zona pedemontana in una immensa città giardino, vive ancora per fortuna la terza anima di Catania, la più vera ed autentica, quella che lavora per tutti gli artigiani, la moltitudine di merciai, commercianti, bottegai, la vecchia, l’antica anima ridente e sfottente di Catania, che paga per tutti, che lavora, soffre, e riesce persino ancora a ridere per tutti. E a tutti contagia questo riso, allo speculatore edile e allo scippatore, al primario ed al rapinatore, al presidente dell’ente pubblico e al disoccupato.

Per questo è puttana Catania, perchè ha tante anime e una sola risata. E perciò uno s’innamora, viene tradito continuamente e continua egualmente ad amarla. E così, amandola, voglio appassionatamente continuare ad insultarla.”

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Luglio 2023, il sindaco Enrico Trantino a Livesicilia: “Quel che non voglio che passi la sensazione che Catania sia terra di nessuno dove teppistelli da quattro soldi credano di potere invadere il territorio per stabilire un loro primato. Questo non lo possiamo permettere”.

iena marco benanti.


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