“Cgil calatino”: “l’applicazione concreta della legge contro il caporalato è l’obiettivo”


Pubblicato il 03 Settembre 2018

Hanno avuto una sola colpa quei lavoratori impiegati in una delle tante serre di Mazzarrone: aver chiesto una pausa per il troppo caldo e per questo licenziati. A scrivere della notizia, sul suo profilo facebook, è Salvo Grasso, l’ex presidente del Consiglio Comunale di Palagonia: “Accade a Mazzarrone, a pochi chilometri dai tanti palagonesi che si alzano alle tre del mattino per portare un pezzo di pane alle proprie famiglie. Alcuni braccianti dopo otto ore di lavoro nei vigneti avevano chiesto una pausa dato che sotto le serre la temperatura sfiora i cinquanta gradi. Il finale è quello che ti dà molta rabbia, che ti fa incazzare: sono stati licenziati in tronco.”

“È ordinaria amministrazione”, il rammarico di Totò Brigadeci, segretario generale della Cgil Territoriale. “Lavoratori sottopagati, 20 euro per otto ore di lavoro, dunque in schiavitù,”, prosegue ancora. E non vuol essere una frase fatta quella di Brigadeci, uomo che in un sindacato che versa in crisi cronica di credibilità si è sempre distinto al punto che spesso si è parlato di “modello calatino”. L’applicazione della 199/2016, meglio nota come “legge contro il caporalato”, è la condizione necessaria per fa sì che qualcosa cambi… e in meglio. “Una conquista”,  definisce Brigadeci l’approvazione della legge n.199/2016 “ma ne occorre la reale applicazione”.  “Per questo motivo – sottolinea Nuccio Valenti, che della Cgil Flai è il segretario uscente – l’anno scorso abbiamo proposto in Prefettura l’istituzione di un osservatorio composto da tutti i soggetti interessati, rappresentanti di categoria e lavoratori, ma in proposito non è stato fatto nulla”.

“Se non si intensifica l’attività di controllo, esordisce Nunzio Drago, attuale segretario della Flai Territoriale del calatino, la stessa legge 199/2016 rimane lettera morta”. E, in proposito, è Valenti a lanciare l’allarme: “La Lega con il ministro Centinaio ha rimesso in discussione la legge, al punto da definirla profondamente penalizzante per i datori di lavoro”. A smentire la Lega, però, sono i numeri: “basti pensare al comparto agrumicolo  – è la denuncia di Valenti – dove su 45 aziende operanti nel calatino solo due risultano completamente in regola”. Del resto, spiega Drago, “una delle cause sta nel fatto che le aziende non sono riuscite a globalizzarsi, pensando di rimanere a galla lucrando sul lavoro”. Il concetto è questo: “se un’azienda decide di abbattere il costo di produzione, la prima cosa che fa è abbassare il salario”. Il lavoratore diventa quindi l’anello debole di tutta la catena. “Significativo in tal senso – racconta Valenti – è quel che è avvenuto di recente a Ramacca: dato che dal 1°luglio i pagamenti devono essere tracciabili, sono state trovate carte prepagate in possesso dei capiciurma”. E aggiunge Brigadeci, “in tal modo è sempre il datore a disporre della paga del lavoratore”. Risultato: “la busta paga è in regola ma in realtà il lavoratore è sottopagato perché appunto il datore può prelevare direttamente da sé e per sé parte dello stipendio”.

“Anche per questo motivo lo sfruttamento dei lavoratori – sostiene Drago – è reato analogo al racket, all’usura e all’estorsione”. In fondo, come dargli torto. “E’ opportuno – conclude Brigadeci – che i Comuni si assumano la responsabilità di intensificare i controlli, di concerto con le forze dell’ordine, l’ispettorato del lavoro e naturalmente con il sindacato. Per questo motivo – aggiunge – abbiamo sentito i sindaci di Mazzarrone, Licodia Eubea, e nei giorni seguenti sentiremo gli altri sindaci della zona”.

“Che i lavoratori denuncino, è l’appello, anche in forma anonima, per evitare ritorsioni”.

L’hashtag è #ancoraincampo: prossimo appuntamento giovedì 26 luglio proprio a Mazzarrone

Per il sì e Per il no pubblichiamo l’art. 603bis “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:                   

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;                                     

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.                                                                                           

 Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.   Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:                                                                                           

 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;                                                                                                                   

 2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;                                               

 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;                                                                                                                     

 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.                                                                     Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:                                                                                                                         

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;                                 

 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;              

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

 

 


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