Destra e stile


Pubblicato il 11 Maggio 2025

di Marco Iacona

La destra “non è un’ideologia” diceva Indro Montanelli. Proverei a dargli ragione, nel senso che – ricordando quello che diceva il suo amico e “maestro” Giuseppe Prezzolini – le destre sono tante quanti coloro che si dicono, appunto, di destra. Dunque mille destre mille ideologie, non più una; e naturalmente destre tutte diverse, perfino molto diverse tra loro. Ho spesso riflettuto sulla differenza, per esempio, tra destra conservatrice e destra anti-moderna che taluni o ignorano o fanno finta non ci sia. Altri poi pensano di poter risolvere i problemi emergenti da tale confronto-accostamento in quattro e quattr’otto. Il dilemma circa la compatibilità tra le due destre venne a galla, per esempio, durante il Sessantotto. C’era chi difendeva l’ordine e chi pensava invece di “abbattere” il sistema, cioè quel sistema, appellandosi a valori sani. Si dava così a contestare anche violentemente fatti e fenomeni del tempo. In attesa di quale risultato però, è difficile dire.

La destra è liberal-capitalistica? No, se intendiamo quella destra che si contrappone alla modernità – modernità e liberalismo coincidono in più punti –; sì, se intendiamo quella destra che ha svoltato la strada dei “diritti civili” epperò difende strenuamente le proprie prerogative, le funzioni e i soggetti protagonisti della propria azione, cioè i borghesi. Quegli stessi borghesi che rozzi, imbroglioni e furbastri – come furba poteva essere, per esempio, la figura anche grottesca di Figaro – qui e lì, e poi sempre più, mescolavano il proprio sangue con quel che rimaneva di un’aristocrazia posta a difesa del “vecchio stile”, e si ponevano a difesa di un certo modo di fare e “apparire”, in politica e ancora di più nel quotidiano.

Destra che in quel caso non disprezzava lo “sterco” cioè il danaro eppure sovente manteneva un formale rigore del tutto invidiabile; si faceva conservatrice o talvolta falsamente progressista cioè concedeva ai ceti meno “fortunati” quel tanto che sarebbe bastato a non inimicarsi uno Stato – non più suo “patrimonio” – che all’educazione di quei ceti dedicava tutti i propri sforzi.

Epperò, c’era anche un’aristocrazia che proprio in odio a certo arrivismo e certa furfanteria da borghesacci arrembanti si dava a comunistizzare la propria azione, dimostrandosi del tutto aliena alla modernità; volendo fare da cerniera tra il vecchio e il nuovo, cioè tra “destra” vecchio regime e “sinistra” nuovissima, in una chiara e ampia visione storicistica, talora strizzando l’occhio a una sorta di eterno ritorno dei valori, della solidarietà e del rispetto formale dell’universale “popolo”.

Ma la destra è anche per la dittatura? Cioè per il potere tout court? I rozzi avversari (“avversari” anche interni) risponderebbero ovviamente di sì. Epperò la dittatura – e ciò vale anche per certo marxismo – è solo una situazione d’emergenza, momentanea, come doveva e forse voleva essere all’inizio il Ventennio (che tuttavia proprio di destra non fu), per scongiurare la distruzione dell’ordine sociale e l’avanzarsi di quelli che Vittorio Alfieri, un secolo prima, aveva chiamato: gli “schiavicannibali”.

Tuttavia, al di là del termine dispregiativo utilizzato da un vero aristocratico, si sono, oggi, questi ultimi per così dire reincarnati nei popoli provenienti dalle aree povere del mondo? Qui, ancora, il discorso sarebbe complicatissimo. In cima al ragionamento dovrebbero collocarsi: 1) quel “tramonto dell’Occidente” secondo il quale l’Europa avrebbe già detto e fatto quanto gli era possibile fare e sarebbe dunque, solo, un cadavere, in balia dei “conquistatori”; 2) la natura dei nuovi arrivati; molti dei quali portatori di una spiritualità sana, ancora incorrotta seppur popolare, ben altra cosa da un cattolicesimo che, oggi, non sa far altro che esprimere papi a digiuno di sacralità (Bergoglio) e finanche statunitensi (Prevost). Insomma: l’Occidente sarebbe da difendere o da rivitalizzare, in quanto spiritualmente morto?

Ma già troppa carne al fuoco. Per Montanelli – magari ricordando quanto ancora dichiarava Panfilo Gentile: la destra si identifica con uno stile – diceva in una nota chiacchierata televisiva che essere di destra può voler dire perfino trascurare la politica, che in fondo quindi non la riguarderebbe, in favore di uno stile, appunto, o modo di vivere o di pensare, che siano modello positivo per gli altri e naturalmente per una buona azione di governo.

In effetti, sovente, almeno per quella che è la mia esperienza, ho conosciuto uomini di destra che non erano affatto educati alla politica “sangue e merda” (così la intendeva il socialista, oggi quasi centenario, Rino Formica), bensì al rispetto di uno dei motti più noti dei tempi andati: il “pathos della distanza” o, qualcuno lo chiamò perfino, dell’“agire senza agire” cioè ancora dell’attirare semplicemente a sé gli altri, il corpo elettorale o corpo del re, come si diceva una volta. Ovvio che una destra di tal genere, ancora oggi, non potrebbe non essere monarchica. Essendo la coppia reale fonte primaria e ispirazione perenne di un certo ordine spirituale e poi materiale. Ordine che va molto (molto) al di là dei pettegolezzi da rotocalco o da social riguardanti, appunto, il quotidiano delle famiglie reali o di quel che ne resta. Le quali a loro volta saranno tenute al mantenimento di un rigore a dir poco ineccepibile, pena il totale deprezzamento della propria funzione simbolica.

In effetti, se così la vogliamo intendere, se essere di destra vuol dire un modo “d’essere”, potrebbe perfino rientrare nel suo bagaglio esistenziale – e anche qui la questione sarebbe lunghissima – l’abbandono di certo intellettualismo, magari a vantaggio dell’azione e della disciplina come poteva essere – forse più nella teoria che nella pratica – per Ernst Jünger, il quale (cito a memoria) così si esprimeva: “il mio giardino mi offre maggior sicurezza del più complesso sistema filosofico”. Ma anche Nietzsche, come si sa, era per un salutare ritorno alla terra del suo uomo “nuovo”. Chissà infine cosa avrebbero pensato i “filosofi” citati e con essi quell’Heidegger che paventava l’esistenza di una civiltà “dove tutto funziona alla perfezione” incapace quindi di partorire un pensiero alternativo, o anche Max Weber col suo reincantamento di un mondo oramai in mano ai burocrati, oggi, oggi che la discussione verte sul post-umano, sull’intelligenza artificiale e sulla disumanizzazione degli spazi?

In conclusione. Non è corretto dire che la destra non sia per la politica, in quanto se partecipa al “gioco” dovrà esserlo per forza, quanto invece per una “sua” particolare politica. Forse come pare suggerire lo stesso Montanelli, facendo perfino il nome di Giolitti, essere di destra sarà una qualità da ricavare con procedimento dialettico, per identificazioni e diversificazioni. Come voleva Platone, la cui figura aristocratica ovviamente, a destra, dovrà essere perfettamente nota.


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