Quando In Italia parlava Filippo Turati, insomma l’ “era dei giganti”…


Pubblicato il 26 Giugno 2020

Cent’anni fa alla Camera dei Deputati uno dei fondatori  del socialismo  Filippo Turati tenne un discorso vibrante che ci fa capire molto bene la  statura, la lungimiranza e l’intelligenza politica di questa personalità della storia  italiana. Appena dopo la prima guerra mondiale l’Italia viveva convulsioni sociali e si dibatteva in una crisi profondissima. Filippo Turati, il 26 giugno del 1920, intervenendo alla Camera dei deputati lanciava una grande idea  per la rinascita del Paese: “Rifare l’Italia”.

È un discorso importante che poteva aprire uno scenario diverso nella vicenda storica italiana mentre, invece, si avviò nel declivio oscuro dell’incipiente violenza del fascismo. Turati tratto’due temi:la necessità della realizzazione di uno “Statuto dei lavoratori” e i rapporti con la Germania.

Filippo Turati propose per uscire dal guado del marasma del sistema liberale  un’alleanza politica con il Partito popolare per dare vita ad uno sbocco riformista alla crisi che travolgeva la Nazione. Il socialismo riformista  si trova a fronteggiare, da un lato le spinte rivoluzionarie (“Fare i Soviet in Italia, come in Russia”) e dall’altro le violenze sanguinarie  dei fascisti.

Si confronto’, quindi, con Bruno Buozzi, segretario generale della Fiom, per consentire   una svolta  riformista all’occupazione delle fabbriche, proponendo una piattaforma di riforme che prevedeva  il riconoscimento delle 48 ore di lavoro,  l’affermazione dei diritti dei lavoratori e dei sindacati,  la formulazione di un disegno di legge che stabilisce la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Tuttavia 

I due progetti, quello politico e quello sindacale, non andarono  avanti per numerose ragioni. Inanzitutto le divisioni nel movimento sindacale, la frantumazione in correnti del Psi, la prevalenza del massimalismo e delle spinte rivoluzionarie che  furono le principali cause per l’ affermazione brutale, violenta, dispotica del fascismo.

Ecco cosa affermò in parlamento  Filippo Turati: “E qui mi cade acconcio dir subito, che, appunto per questa psicologia e per i tempi mutati, non ci riuscirà di industrializzare il nostro Paese se prima non faremo il « nuovo Statuto dei lavoratori », che li faccia, se non ancora arbitri assoluti, almeno partecipi della produzione, e non già passivamente partecipi agli utili, secondo certe vedute pelosamente filantropiche, ma partecipi nella gestione, nella direzione, nel controllo della produzione nazionale, ossia condòmini veri. 

Ora la borghesia italiana (e qui presto degli argomenti agli amici massimalisti) è sempre stata ignava, ebbe – salvo poche eccezioni – visioni limitate, umili, ciecamente pedisseque dell’estero, con una pronunciata tendenza a farsi parassita dello Stato, ad abbarbicarvisi, anziché cercare nella creazione nello studio, nel miglioramento progressivo dell’industria e dell’agricoltura, la propria floridezza e quella che sarebbe la sola sua ragion d’essere.La guerra, poi, col pescecanismo, ha fatto il resto. Ha portato a galla gli elementi più sporchi e disonesti della borghesia industriale sviluppando la corruzione, rendendo possibili quegli assalti alle Banche di cui sono indice significante le recenti vergognose polemiche”. 

Poi si soffermo’ sui rapporti con la Germania che Turati, con grande lucidità disse: “La Germania, nel 1870, aveva una popolazione non inferiore alla nostra. La conquista delle ricchezze minerarie, che oggi le sono state tolte, ma, più che tutto, la coltura tecnica, sapientemente ottenuta, lo sviluppo delle sue scuole tecniche, dei suoi insegnamenti professionali, le procacciarono una tale supremazia industriale su tutto il mondo, che le ha consentito non soltanto di abolire la emigrazione, ma di chiamare nel suo paese una immigrazione importante, raddoppiando al tempo stesso la popolazione. Ebbene noi dobbiamo imitare la Germania, che abbiamo concorso a distruggere con infinito nostro danno; ma non già imitarla pedissequamente, come fu sempre del nostro governo e della nostra borghesia, ma imitarla con genialità latina imitarne l’originalità, imitarne, starei per dire, la non imitazione, applicando i suoi metodi, ma adattando i processi al nostro suolo, al nostro clima, alla psicologia tutta diversa”. Sembra che non sia passato neanche un secolo da queste parole, anzi sembra un discorso  che mostra   una modernità e un’attualita davvero sorprendente .

Rosario Sorace.

 


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