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Antifascismo&Ossessioni
Pubblicato il 28 Aprile 2025
di Gianni Coppola.
É notizia di oggi che il sindacalista della CGIL di Sestri Ponente che alcuni giorni addietro aveva denunciato una aggressione fascista è indagato per simulazione di reato, in quanto ha ammesso di essersi inventato il pestaggio.
Non è mai demodé il fascismo, anzi il ricorso al fascismo, ma a maneggiarlo con incuria può produrre effetti indesiderati.
Nei primi anni 70, Luigi Bianchi d’ Espinosa, procuratore generale della Repubblica di Milano, chiese la messa al bando del M.S.I e un processo per Giorgio Almirante per il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista. Questa richiesta coincise con l’inizio della campagna dell’antifascismo militante, un pregiudizio che si fece ideologia, l’ultima fermata di una direttiva che esigeva la destituzione del nemico(il fascista) da essere umano. L’antifascismo militante è stata, ma lo è tutt’ora, una formula magica agitata dalla sinistra per mantenere certe posizioni di privilegio nel teatrino del nulla frullato che è la politica in questo paese, e, soprattutto, per distrarre gli italiani dalle sue povertà programmatiche e dalla suo ingombrante tartufismo. L’antifascismo militante ha formato intere generazioni all’azione, molto spesso violenta, e mai al pensiero, che esige indagine, studio e coscienza. L’ideologia dell’odio poggia interamente su questa formula, che attiene a quell’orrida legge morale della sinistra “ uccidere un fascista non è reato”, una legge che ha armato la mano che ha ucciso, sprangato, mutilato, giovani innocenti come Ramelli, il quale aveva una sola colpa: non essere di sinistra.
Una formula che un avvocato di un imputato del processo per l’ assalto al bar Porto di Classe a Milano, avvenuto un anno dopo l’omicidio di Ramelli, ha maneggiato per “ rivendicare la legittimità e la nobiltà per “ togliere agibilità e spazi di aggregazioni ai fascisti, non è reato, ma legittima applicazione di un principio costituzionale”. Sic et simpliciter: Uccidere o mutilare un fascista era dovere costituzionale: questo era, ed è tutt’ora, il cuore dell’antifascismo militante, quello dell’indice del pregiudizio sempre puntato verso chi osa uscire fuori dal perimetro ideologico della sinistra.
Pasolini, che individuava nell’antifascismo una forma strutturata di razzismo, sosteneva che la caccia alle streghe era un comportamento tipico delle culture intolleranti: “ in un contesto repressivo l’oggetto della caccia alle streghe( il diverso) viene prima di tutto destituito di umanità, cosa che rende lecita la sua effettiva esclusione da ogni possibile pietà: e, generalmente, in pratica, anticipa la sua soppressione fisica”. E non mi allontano da Pasolini, perché dicono di amarlo e conoscerlo, e quindi decido di continuare a giocare nel loro campo. In una intervista rilasciata a Massimo Fini(1974) disse che esisteva un fascismo archeologico che veniva urlato per procurarsi una patente di antifascismo reale, “ un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e non esisterà più”. Lui lo disse nel 1974; a distanza di oltre 50 anni, masse idiote, che agiscono fuori dalla storia, vivono una subesistenza che si limita alla più tragicomica caccia alle streghe. In una sua lettera Luterana, Pasolini, che ricordo fu espulso dal partito comunista per indegnità a causa della sua omosessualità, affermò.” la qualificazione di antifascista diventa sinonimia assurda, ridicola, di anti-borbonico o anti-feudale”. Mi rendo conto di quanto io sia vicino al pensiero di Pasolini rispetto alle masse idiote che vedono fascismo persino nella confezione di pasta Rummo.
E come non citare le parole dell’economista statunitense Huly Long. “ Il fascismo può tornare alla ribalta a condizione che si chiami antifascismo”. Il pretesto e lo strumento dell’antifascismo sono legati indissolubilmente, non esisterebbe l’uno se non ci fosse l’altro. Gli assassini di Ramelli cercavano la giustificazione nelle trame dell’antifascismo militante; uccisero un ragazzo che neanche conoscevano, segnalato attraverso una fotografia che avevano scattato al povero Ramelli quando fu prelevato da 80 militanti di Autonomia Operaia per imbiancare le scritte fasciste nei muretti fuori dall’istituto scolastico Molinari. Obbedivano ad un ordine: Hannah Arendt la definì la “Banalità del male”; io la chiamo la razionalità del male.
Sia chiaro che questo del sindacalista non è un caso isolato.
A me ricorda qualcosa di tragicomico accaduto a Catania nel 2012 a Brindisi, davanti ad una scuola scoppiò una bomba. Morì una studentessa e altri rimasero feriti. Erano trascorsi pochi minuti dalla notizia della tragedia, quando alcuni manifestanti bardati di rosso relativo( non ricordo se ci fossero pure i viola fiorentina), e armati di kit dell’antifascista militante( altoparlanti sopra il tetto di una macchina, megafono con adesivo di una stella Rossa raccattato a Parco Lambro negli anni 70 , sciarpa rossa in assenza( ci risiamo!) di eskimo) si radunarono sotto la Prefettura di Catania.
C’erano tutti i rappresentanti duri e puri della sinistra etnea, accompagnati da una pletora di centrosocializzati, una fauna di radical chic, e un ammasso amorfo di anime belle.
E furono giaculatorie contro l’attentato fascista, litanie contro le stragi di Stato di chiara pendenza fascista, liturgie di antifascismo puro contro le trame nere, intemerate contro i rigurgiti nostalgici delle anime nere, rosari sgranati sul valore della resistenza modello “Ora e sempre”.
Fu un momento toccante di antifascismo puro e duro, quello strappalacrime, come quelle versate da Fornaro in Parlamento.
Andarono via contenti e soddisfatti, come delle giovani marmotte quando fanno attraversare la strada alle vecchiette.
Peccato che subito dopo il raduno moschettiero ed antifascista, il telegiornale precisò che si trattò dell’opera di un singolo, uno sprovveduto, niente fascisti, niente trame nere, niente servizi deviati. Gli unici deviati, ancora una volta, erano stati loro.
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