Caso Contrada: quei due verbali “scomparsi”….


Pubblicato il 10 Ottobre 2011

  bruno-contrada1Bruno Contrada favoreggiatore della mafia o funzionario integerrimo al servizio dello Stato? In attesa dell’ 8 novembre prossimo, quando a Caltanissetta si aprirà il processo di revisione –obiettivo raggiunto grazie alla caparbietà degli avvocati difensori, Giuseppe Lipera e Grazia Coco-  non mancano gli interrogativi su un uomo la cui vicenda divide, fa discutere, lascia aperti scenari impensabili.

Non è tutto chiaro, di certo, quel che è accaduto all’ex 007 del Sisde: basterebbe solo citare le sentenze, di condanna ma anche di assoluzione, nel primo appello, per rendersi conto che la sua storia non è del tutto chiarita. C’è da scavare. 

E gli elementi su cui indagare non mancano: come nel caso dei pentiti, che lo hanno accusato. C’è chi aveva subito l’attività investigativa di Contrada, come Gaspare Mutolo, che diede la stura alle infamanti accuse: Contrada, da poliziotto di riconosciute capacità della Palermo degli anni Settanta, divenne, invece, uomo avvicinabile, contiguo, favoreggiatore….

C’è poi il caso – di cui ci occupiamo in questa prima nostra “puntata” sul caso Contrada- di verbali “scomparsi”: quelli di un altro noto pentito, Francesco Marino Mannoia. Ci sono due verbali di questo collaboratore che hanno avuto una storia travagliata, si direbbe: non furono subito allegati al fascicolo del Pubblico Ministero, non furono portati a conoscenza dell’imputato, né del Tribunale. Sono stati conosciuti dall’imputato e dalla sua Difesa solo in tempi successivi, nel corso del giudizio di primo grado, il secondo dopo la sentenza del Tribunale.  Cos’era accaduto?

Mannoia era stato sentito, negli Stati Uniti, due volte, nell’aprile del 1993, dal pool di magistrati della Procura della Repubblica Palermo e da quelli di Caltanissetta. Oggetto: l’omicidio Lima e le stragi dei giudici Falcone e Borsellino. Nel corso delle audizioni, gli era stato chiesto dagli inquirenti se sapesse qualcosa di Contrada: e lui dichiarò di sapere soltanto che Bruno Contrada era un funzionario di alto grado della Polizia che operava a Palermo. 

Successivamente, nel secondo verbale, disse che non gli risultava che il dott. Contrada avesse rapporti o collusioni con Cosa Nostra. Mannoia, quindi, nei primi anni, fino al gennaio 1994 non aveva profferito alcuna parola accusatoria contro Contrada, ne aveva parlato appunto solo in termini generali di conoscenza di  un funzionario di alto grado che operava a Palermo.  Poi, nel gennaio del 1994, enunciò a carico di Contrada accuse, che non erano accuse nuove, ma erano conferme delle  accuse di precedenti pentiti, cioè di Mutolo e Buscetta. Tutto questo poco prima che gli fosse approvato il programma di protezione.

Questa è soltanto una delle tante “anomalie” di una vicenda giudiziaria intricata, travagliata, fatta di luci ed ombre, di decisioni contrastanti: nel mezzo, la vita di un uomo, che si è fatto due anni, sette mesi e sette giorni di solo carcere preventivo. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, un reato al centro di un dibattito- anche aspro- sulla sua essenza, possibilità di applicazione in uno Stato di diritto: un reato che l’avv. Lipera definisce icasticamente “chiacchiericcio”. 

E Contrada ancora attende il processo di revisione. Un altro capitolo, la revisione, scaturita da un libro “Nel labirinto degli Dei” di un suo accusatore, il Pm Antonio Ingroia.  Che storia è questa allora? Continueremo a parlarne nella prossima puntata.


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