Cronache siculopolitiche: il “vuoto pneumatico” italiano


Pubblicato il 15 Dicembre 2019

Carissimo Marco,

che tristezza apprendere o meglio vedere riaffermato che la maggior parte dei nostri quindicenni non comprendono un testo di letteratura, storia, scienze o matematica. Questa condizione è davvero desolante ma non deve affatto sorprenderci e come ebbi modo di dirti qualche tempo fa questa constatazione la vivo sulla mia pelle di “precettore” prestato all’insegnamento poiché ahimè sono pochi quelli che riescono a capire e seguire le lezioni mentre la maggior parte dei discenti è distratta, indifferente e riottosa ad acquisire il sapere e la conoscenza.

Certamente è un nostro (mio) fallimento e ,quindi, dell’istituzione scuola che abitiamo da tempo (anche tu sei insegnante!) ma direi soprattutto che sprofonda anche l’ istituto familiare che da un punto di vista educativo ha fatto degradare i nostri ragazzini a divenire sempre più degli iper connessi digitali che ormai dedicano intere giornate a stare in perenne collegamento virtuale. Ormai si sa bene che la comunicazione tra questi giovani (e non solo tra loro )si svolge tramite il proprio telefono personale che è un compagno fedele delle loro(nostre )vite e persino a dieci anni ognuno ha un telefono tutto proprio. E’ risaputo che tutto ciò determina una dipendenza che fa calare drasticamente la concentrazione mentale che dovrebbe essere impiegata per imparare concetti o tecniche e isola ancora più i ragazzi anche quando trascorrono del tempo insieme.

Ormai questa è una tendenza che mi pare irreversibile e che nessuno può frenare e rimpiango quando da bambino e poi ragazzino mi regalavano i libri da leggere durante le vacanze o quando non vedevo l’ora di comprare ogni settimana i fumetti topolino o tex e il corrieredeipiccoli o l’intrepido.

Marco, la scuola sembra che abbia definitivamente alzato la bandiera bianca anche perché sono una minoranza quelli che si dedicano all’insegnamento come ad una missione da portare avanti anima e corpo. Un altro dei motivi di profonda frustrazione è l’ulteriore status economico assai immeritato che ci costringe ad essere mal pagati e senza gratificazioni nello svolgere un compito che appare difficile, improbo e complicato. Lo stato di profonda delusione che avverto è cresciuta negli anni e il percorso culturale che seguivo si è via via inaridito e impoverito per la scarsezza dell’aggiornamento e della formazione. Ormai approfondisco i temi e gli argomenti che tratto a scuola più per me stesso che per gli allievi. Così è spiegabile una delle tante ragioni per cui coloro che dirigono il nostro povero regno siano inadeguati sul piano della cultura e naturalmente chi abbraccia la carriera del potere non si pone il problema della preparazione per capire come gestire il regno poichè arrivare in alto è una comoda scorciatoia per guadagnare e affermarsi nel modo più veloce possibile e magari con i metodi più cinici e spregiudicati.

Innanzitutto in questa nazione non leggiamo più libri, non ci informiamo più sui giornali e siamo sempre ultimi nelle graduatorie del vecchio continente per interessi diffusi in tutti i campi dell’arte e della cultura. Ecco spiegata semplicemente la decadenza che stiamo attraversando e l’incapacità di risalire la china è spiegata senza tante analisi e senza tante chiacchiere. Immagina quanti libri vende un poeta affermato in tutta la penisola e non arriva a più di sessantacinquemila copie.

A proposito di poeti aveva ragione il grande intellettuale nonché poeta scrittore regista ucciso quarantaquattro anni fa quando affermava che bisognava accompagnare lo sviluppo dell’economia al progresso culturale altrimenti una nazione perde la sua anima. E quando lungimirante comprese che il passaggio dalla civiltà contadina alla società industriale con il consumismo come unico fine avrebbe omologato le persone ad una dimensione indistinta e che la nostra identità sarebbe stata demolita e appiattita da una forma di opprimente dominio.

Lui insieme al maestro di Regalpetra erano straordinari pensatori e ambedue erano lungimiranti, visionari sapendo prevedere e preconizzare quel che sarebbe accaduto nei decenni successivi in tutti i campi della vita associata. Erano intellettuali che non si tiravano indietro sui temi che riguardavano il vivere civile e avevano naturalmente orrore dell’ignoranza e dell’analfabetismo.

E’ giusto indirizzare i giovani vero le abilità professionali e verso il mondo del lavoro. Però nessuno incoraggia la scrittura e la lettura né in famiglia dove ancora oggi si dice “…chi libri non si mangia …” ,né a scuola dove ancora oggi siamo fermi ad un nozionismo asfittico e ad un apprendimento polveroso e ammuffito che viene somministrato dalla nostra generazione di docenti più per onor di firma che per passione e entusiasmo. Innanzitutto dovremmo insegnare ai giovani oltre al ragionamento anche all’antico bisogno di leggere a voce alta e scrivere sempre soprattutto per fare uscire dentro noi le potenzialità e ,quindi, per imparare a conoscere noi stessi, le nostre potenzialità e ritornare (perché no!) ad imparare le poesie a memoria e comprendere che esse aprono orizzonti interiori.

Mi duole il cuore che i ragazzi non si appassionino alla lettura e così oggi registriamo questi risultati scadenti e quando anche impareranno un lavoro o avranno un titolo di studio di alto profilo potrebbero correre il rischio , proprio per le lacune descritte, di fare parte degli analfabeti di ritorno.

Ti abbraccio. Candido.


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