Elezioni Europee: Salvini, la Lega, il Pd, il M5s nel post-voto


Pubblicato il 27 Maggio 2019

Marco Benanti con la collaborazione di Mari Cortese

Il 27 maggio di oggi è stato una specie di “Giornata del Sollievo”, evento istituito nel 2001 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che, però, con la giornata di oggi ha in comune solo il termine ultimo di un faticoso, estenuante e sospirato percorso. E’ giunto il finissage, infatti, del defilé accelerato di questa avvincente, difficile, ed inquieta campagna elettorale; il tutto, spesso, volto ad un volatile guadagno nel punteggio delle percentuali dei partiti in corsa.

Al M5S, però, la tattica dei rivoluzionari contro la restaurazione dei pro-life e degli oscurantisti del Family Day non sembra riuscita granché bene, visto lo stacco di quasi metà percentuale di distanza dalla Lega ed, ahimè, perfino dal partito democratico, di recente definito “sepolcro” da qualche collega filogovernativo. Per quest’ultimo, infatti, oggi è una vera e propria, per così dire, Pasqua visto che la “resurrezione”, si è chiaramente espletata in un considerevole 22% nazionale, dopo il crollo alle ultime nazionali successivo all’estasi del raggiungimento dell’apice sensuale del 40%, con al vertice un volto giovane null’altro che all’anagrafe; beninteso, quello dell’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

D’altro canto, è innegabile come la tenuta dei pentastellati sia stata eccezionale nella nostra Catania apparentemente fidente, dove il Movimento si è rivelato nuovamente il partito più votato, proprio, come in occasione delle ultime amministrative e come tendenza ha comandato attraverso l’intero Sud Italia.

Ciò non è poco, in quanto da questo è possibile cogliere diversi spunti fungenti ben oltre, che uno specchietto per le allodole appannato e buttato a casaccio: ordunque, il fatto che in pochissimi anni la Lega abbia effettuato una trasvolata di 7200 km/h, pur confermandosi “medaglia d’argento” in casa nostra, ha un senso nella realizzazione di un progetto che potrebbe sembrare frammentario, se diamo credito al discorso delle autonomie differenziate ma che si rivela profondamente accentratore e nazionale, quando vertibile sulla fisionomia di uno statista -o simil politico- da cui l’odierno centro-destra, non potrebbe sognarsi di prescindere; ma da costui distano con forza le istanze di quelli che, dal loro liberalismo alto borghese esercitato dagli attici romani prospicienti su villa Borghese, non sono riusciti a cogliere la povertà di nutrimento e di speranza di coloro a cui la vita non permette, perfino nel silenzio della sera tarda, di sgomberare lo spazio del pensiero critico per un’Italia di pace e fratellanza, inserita in un bucolico paesaggio europeo che non avrebbe le sembianze dei palazzi a specchio in cui risiede la BCE.

Ma, proprio il fatto che la Lega non sia riuscita ad oltrepassare il tetto di soglia del pasionario Sud del M5S, è forse legato al passato di “padano libero” del segretario che genera non poche riserve nei confronti degli elettori dell’Italia meridionale, che ancora vivono con lo spauracchio degli insulti nordisti (molti, ghiotti fake operati da pagine di rapida fruizione ed altri, da precisare, non effusi per bocca di Salvini). Inoltre, il fatto che il M5S si confermi nuovamente il partito più votato nel Meridione potrebbe risiedere nella ragione elettorale che ancora proietta, nel Movimento, l’immagine di roccaforte di libertà di lotta da ogni tipo di corruzione; magari le intenzioni sono le migliori e, però, è sempre bene che ognuno guardi al proprio “accampamento di soldati”, giacché sempre di compromessi e di un’ottima dose di brutture tanto al chilo, è composta la “guerra “dei politici.

La stessa guerra, operata dal Partito Democratico che al contrario, tramite un martellamento contro-l’odio-ad-hoc è riuscito dissuadere i pentastellati dello scorso 4 marzo, delusi dall’engagement con la Lega e persuasi dalla pericolosità di sforamento del deficit e di scavalcamento dei vincoli europei bacchettato dalle amiche Berlinguer e Lilli Gruber.

Peccato, però, che i proclami no borders del Partito Democratico abbiano colpito forte laddove, sull’immigrazione, i dem avevano elaborato in maniera operosa un’immagine benefica dell’accoglienza indiscriminata che, casualmente, ha condotto verso un netto sorpasso di Bartolo a Lampedusa, nonché un clamoroso risultato nel comune di Riace.
Una certezza v’è, sopra ogni risultato: l’affluenza prevista si è ridotta al lumicino, e il partito dell’astensionismo l’ha spuntata sopra tutti, su ogni ideologia ed ogni barlume di possibile speranza. Forse per la pioggia, a causa di cui è passato certo in cavalleria, il pensiero di una selvaggia tintarella e di fantasia castelli di sabbia o, forse, perché l’Europa non è mai stato un luogo in cui sentirsi a casa.

Qualcosa, fra le ragioni sopracitate, ha respinto il pensiero dell’urna, dietro l’angolo di casa nostra. Eppure, è spesso girando il cantone, che è probabile stringere la mano a nuove possibilità e frontiere fondamentali per il cambiamento della nostra vita.

Non spereremmo, certamente, in un lettera del postino da parte dell’Unione Europea.

Marco Benanti con la collaborazione di Mari Cortese.


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